il viaggio del pontefice in sudamerica

Il Papa in Cile e Perù: «Ho paura di una guerra nucleare, siamo al limite»

di Carlo Marroni

3' di lettura

È il volo più lungo del pontificato, quasi 16 ore. Papa Francesco questa mattina è decollato da Roma verso Santiago del Cile, prima tappa di un viaggio che lo porterà anche in Perù. È il ventiduesimo viaggio del suo pontificato, il sesto che tocca paesi dell'America Latina, tenendo fuori ancora una volta l'Argentina.

All’aeroporto della capitale cilena, nella cerimonia di benvenuto che non prevederà discorsi, il Papa sarà accolto dalla presidente uscente della Repubblica, ma ancora in carica, la socialista Michelle Bachelet, mentre è stato eletto (e si insedierà a febbraio) il conservatore Sebastian Pinera, che pure incontrerà. In Cile, oltre alla capitale, il Pontefice visiterà le città di Temuco, a Sud, dove incontrerà le popolazioni indigene Mapuche, e Iquique, nel Nord minerario. In Perù, dove arriverà giovedì sera, sarà nella capitale Lima, nell'amazzonica Puerto Maldonado e a Trujillo, sulla costa del Pacifico, colpita l'anno scorso dalle inondazioni di 'El Nino'. Il rientro a Roma è previsto per lunedì 22. Entrambi i Paesi sono stati visitati in precedenza da papa Giovanni Paolo II: il Cile nel 1987, il Perù due volte, nell'85 e nell'88.

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«Dobbiamo eliminare gli armamenti nucleari!»
«Ho paura di una guerra nucleare, siamo al limite» ha detto il Papa poco dopo il decollo del volo ai giornalisti a bordo ai quali ha donato un foto di un bambino con il fratello morto a Nagasaki. «Questa immagine - ha detto - l’ho trovata per caso ed è stata scattata nel 1945. È un bambino col suo fratello sulle spalle morto, che sta aspettando per il crematorio a Nagasaki». Francesco ha commentato: «Mi sono commosso quando ho visto questo è quindi ho voluto scrivere: "Il frutto della guerra». Ho voluto stamparla e darla perché un'immagine commuove più di mille parole».

Poi il Papa si è sentito rivolgere la domanda se avesse paura di una guerra nucleare: «Sì, ho davvero paura. Siamo al limite, basta un incidente. Non si può far precipitare la situazione. Dobbiamo eliminare gli armamenti nucleari». Sulla carta quello iniziato oggi doveva essere un tranquillo ritorno nella "sua" America Latina, in Paesi che conosce bene, anche se pure questa volta aveva deciso di tneresi alla larga dall'Argentina, che sorvolerà. Invece il viaggio al momento rischia di essere tra i più insidiosi del pontificato. L'occupazione della nunziatura (durata poco e perlopiù simbolica) rappresenta un pessimo segnale, dato che proprio lì Bergoglio dovrà alloggiare a Santiago. E anche gli attacchi incendiari alle chiese cattoliche sono il segnale di un malessere profondo, oltre che del fatto che gruppi di opposizione di matrice diversa intendono sfruttare mediaticamente la presenza del Pontefice. Alcuni gruppi della minoranza Mapuches, pur non essendo di per sé ostili verso la Chiesa che molte volte li ha difesi, con le loro azioni violente vogliono ottenere maggiore visibilità. C'è chi sfrutta la polemica per i costi della visita papale, un argomento certamente non nuovo. Ma c'è anche un motivo di risentimento profondo verso i vescovi che attraversa la società cilena per la gestione dei casi di pedofilia, altro tema centrale che tiene banco. In effetti la pressione mediatica alimentata dalle centrali informative a controllo anglosassone hanno trasformato il viaggio come una specie di test di "tenuta" del pontificato bergogliano.

Pedofilia: il caso cileno di Osorno
Certamente pesante e ancora irrisolta è situazione del vescovo di Osorno, Juan Barros, formatosi alla scuola del potente padre Fernando Karadima, riconosciuto colpevole di abusi su minori. Barros, che è stato nominato a Osorno da Papa Francesco dopo aver fatto per alcuni anni l'Ordinario militare, dice di non aver mai saputo nulla di quanto faceva il suo mentore. Ma la sua presenza in diocesi sta diventando insostenibile a motivo delle proteste popolari. L'anno scorso un video registrato col telefonino a margine di un'udienza in piazza San Pietro ha messo in rete la risposta data da Francesco a una persona che gli chiedeva della situazione di Barros. Il Papa aveva difeso il vescovo, dicendo che non ha responsabilità. Ma l'Associated Press ha reso nota una lettera dello stesso Pontefice ai responsabili dell'episcopato cileno nella quale si diceva cosciente dei problemi e affermava che avrebbe preferito un'altra soluzione per Barros, almeno un anno sabbatico per lasciare decantare le polemiche. Nella stessa missiva Francesco sembra attribuire al nunzio apostolico in Cile qualche responsabilità, seppure involontaria, per il fallimento di questo sbocco. La divulgazione della lettera a pochi giorni dall'inizio della visita ha l'effetto di dimostrare che il Papa oltre che essere ben cosciente dei problemi e pur avendo poi difeso la sua scelta di nominare Barros ad Osorno, avrebbe preferito un'altra opzione. La Chiesa cilena, che al tempo della dittatura militare del generale Pinochet godeva di un grande prestigio per le sue coraggiose denunce in difesa della giustizia e dei diritti umani, oggi ha perso molta credibilità presso l'opinione pubblica.

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