POLITICA 2.0

Il rush sulle liste e i voti che Renzi deve difendere dal derby a sinistra

di Lina Palmerini

(Francesco Fotia / AGF)

3' di lettura

«Finalmente potremo fare chiarezza», diceva ieri Matteo Renzi a Radio 1 spiegando la scissione a sinistra e come influirà nella competizione elettorale. Lui diceva che la divisione aiuterà il Pd perché - così - potrà proporre un suo profilo più lineare, senza la coda dei dibattiti interni, senza le polemiche sulle riforme che più hanno segnato la sua stagione: dal Jobs act agli 80 euro fino alla riforma della scuola. In realtà per Renzi questo derby a sinistra è un pezzo importante della strategia elettorale. Innanzitutto perché gran parte della sua scommessa si gioca proprio nelle regioni del Centro, in quelle roccaforti rosse che sono le uniche in cui può puntare a massimizzare i consensi. Non succederà al Nord, almeno nel lombardo-veneto, dove la partita è già vinta dal centro-destra e non accadrà al Sud dove i sondaggi di oggi danno un match a due tra i 5 Stelle e la destra. Dunque, l’unico campo di gioco per il leader Pd è quello tra Toscana, Emilia, Umbria e Marche, dove però adesso soffre la competizione del partito di Grasso e Bersani, di chi ha lasciato il Pd disconoscendo la sua natura di sinistra. E disconoscendo, soprattutto, l’identità di sinistra del suo leader.

Insomma, il problema in più di Renzi in questa gara verso il 4 marzo - quello che non ha Berlusconi, Salvini o Di Maio - è che pure in quell’area dove poteva vincere facile adesso è diventato più complicato, certamente in termini di percentuali di consenso anche se non di perdita di collegi. Ecco, anche questo è il rovello nella stesura delle liste: con quale strategia e quali nomi affrontare il “fuoco” degli ex Pd ora passati a Leu. Lo scontro sarà certamente sui temi, cioè su quanto sia di sinistra il Jobs act o gli 80 euro e in questa chiave verranno schierate figure che provengono dal mondo della Cgil, come Carla Cantone o Teresa Bellanova, mentre dall’altra parte ci saranno Guglielmo Epifani ex segretario Cgil o Giorgio Airaudo ex Fiom. E poi ci saranno quegli scontri tra ex diessini: si pensa, per esempio, di schierare in Emilia Piero Fassino per contrastare Pierluigi Bersani. E ieri si parlava della Boschi candidata non in Toscana ma a Bolzano, come a non voler rischiare una perdita di consensi in un territorio dove il partito di Grasso (e non solo) userà contro Renzi l’argomento del “giglio magico”.

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Insomma, il derby infurierà nelle zone rosse e avrà al centro anche una domanda: di chi è stata la colpa di questa nuova rottura a sinistra? E qui dovrebbero avere un ruolo le candidature della minoranza Pd, di Orlando, Emiliano e Cuperlo. Sono loro la “frontiera” verso Leu, il confine più lontano da Renzi ma comunque dentro il Pd, i testimoni che la rottura si poteva evitare. E sono anche quelli che possono provare a non infiammare i duelli nei territori, nella logica del «non facciamoci del male», detta da D’Alema in un’intervista di qualche giorno fa. Le ultime notizie sulle trattative di ieri dicevano che Renzi avrebbe concesso alla minoranza 20 candidature ma, questa volta, non conta il “cencelli” del partito. Conta piuttosto riuscire a mantenere l’aspetto di un Pd plurale - dove resta la dialettica interna - per rispondere che la colpa della rottura non è di Renzi.

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