il candidato m5s nella city

Di Maio nella City per «rassicurare» gli investitori. Ma torna ipotesi asse con la Lega «no euro»

di Manuela Perrone

(ANSA)

4' di lettura

Oggi Luigi Di Maio incontrerà a porte chiuse nella City una serie di rappresentanti di società e fondi d’investimento, soprattutto americani e anglosassoni. Obiettivo: «Rassicurare. Dirò loro che il Movimento è una forza seria e che non lasceremo il Paese nel caos e ai voltagabbana». A rovinare la festa, però, è stato ieri il giornalista Gianluigi Paragone, ex direttore della Padania prima di approdare alla Rai, che si è autopromosso al rango di pontiere con il Carroccio di Matteo Salvini per eventuali accordi post-voto. Rivangando le affinità elettive con la Lega su quel punto che Di Maio ha fatto di tutto per archiviare nella sua corsa a trasformare il M5S da movimento anti-sistema a potenziale partito di governo: la contrarietà all’euro. Uno spauracchio per le cancellerie europee e per gli stessi investitori che Di Maio si appresta a «tranquillizzare».

Paragone cita gli economisti no-euro Bagnai e Borghi
È stato Paragone a evocare tra i punti di contatto tra Cinque Stelle e Lega l’avversità alla moneta unica. «Sicuramente - ha detto ai microfoni di Radio Cusano Campus - le candidature di Borghi e Bagnai hanno una sensibilità culturale che è vicino alla mia e anche a un certo modo di pensare dentro al Movimento Cinque Stelle. Su alcuni temi macroeconomici ci può e ci deve essere un dialogo aperto. Così vale anche per alcuni temi legati alla sicurezza». Alberto Bagnai è l’economista apertamente no-euro candidato dalla Lega al Senato in diversi listini del proporzionale nel centro Italia e nel collegio uninominale di Firenze contro Matteo Renzi. Claudio Borghi è il responsabile economico del Carroccio, schierato contro il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel collegio della Camera a Siena e da sempre nemico giurato della moneta unica.

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Accordo con la Lega? Tutte le incognite
La mano tesa di Paragone, che sfida a Varese il suo ex padre putativo Umberto Bossi e che appena due giorni fa aveva bollato la candidatura del Senatùr come «la didascalia di un centrodestra che un tempo era alleato delle imprese e che ora si sente padrone del territorio», ha un valore tutto interno: proporsi come «uomo del dialogo» tra il suo vecchio mondo e il nuovo, prima per contendere alla Lega il suo elettorato tradizionale in Lombardia e poi per lasciare aperta la porta a quell’alleanza post-voto sempre ipotizzata dietro le quinte ma mai confermata. Anche perché la fattibilità della partita si capirà soltanto la sera del 4 marzo, a urne chiuse e a “conta” dei seggi effettuata. E dipenderà non soltanto dai numeri, ma dalle mosse del presidente Sergio Mattarella e dalla tenuta della coalizione di centrodestra, con Berlusconi e Salvini eterni duellanti . Non solo: dovrà vincere le resistenze di tanti del M5S, come Roberto Fico, più propensi a guardare a sinistra che a un asse con il Carroccio di cui non vogliono sentir parlare.

Le sette fatiche di Di Maio
È però la tempistica dell’uscita di Paragone ad aver creato più di un imbarazzo. Perché stamane a Londra Di Maio, accompagnato dall’economista Lorenzo Fioramonti (docente all’Università di Pretoria e candidato M5S a Roma), dovrà fare sette fatiche per perorare davanti alla platea di investitori preoccupati dalla situazione politica italiana la causa di un Movimento che ha abbandonato i toni anti-establishment delle origini e che è in grado di governare «senza turbolenze», con un programma che definirà «moderato». Un Movimento che ha derubricato il referendum per l’uscita dall’euro a «ultima spiaggia», confidando in un’Europa che saprà ascoltare le esigenze di crescita del Paese e sperando persino di poter vedersi accordare lo sforamento del paramento del 3% deficit-Pil «per investimenti ad alto moltiplicatore occupazionale».

L’«esempio» di Roma e il possibile effetto boomerang
Non è la prima volta che Di Maio vola sulle rive del Tamigi (c’era stato ad aprile 2016, ufficialmente come vicepresidente della Camera e presidente del “Comitato di vigilanza sull’attività di documentazione” ma già come volto del M5S spendibile sulla scena internazionale), ma è la prima volta che va nella City con l’ambizione di guidare il governo del Paese. Ieri, sponsorizzando la candidata governatrice del Lazio insieme alla sindaca di Roma Virginia Raggi, ha anticipato: «Agli investitori internazionali, che chiedono meno burocrazia e certezza del diritto, racconterò che siamo entrati al Parlamento Ue come quelli che nessuno considerava e invece abbiamo oggi un’alta carica istituzionale, con Fabio Massimo Castaldo (vicepresidente dell’Europarlamento, ndr). Racconterò il piano delle partecipate di Roma e il piano di taglio del debito pubblico in tutti i Comuni a 5 Stelle. Noi siamo gli unici che quando governano non aumentano il debito pubblico dei Comuni». Ma forse l’esempio di Roma - con l’Atac gravata da 1,35 miliardi di debiti e avviata sulla strada accidentata del concordato preventivo in continuità e l’Ama che non riesce a fronteggiare le cicliche emergenze rifiuti - non è esattamente la rassicurazione che i mercati si aspettano. Così come marce indietro, seppur solo ipotetiche, sulla fedeltà all’Eurozona.

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