IL nuovo presidente a montecitorio

Fico, il grillino di sinistra, alla guida di Montecitorio grazie a Salvini

di Manuela Perrone

Casellati al Senato, Fico alla Camera

2' di lettura

Il patto è fatto, esterno e interno. Con Matteo Salvini e Luigi Di Maio a giocare di sponda e a imporre il tandem: l’azzurra Elisabetta Alberti Casellati alla presidenza del Senato, con cui il centrodestra si ricompatta dopo lo scontro tra Berlusconi e Salvini, e il pentastellato Roberto Fico alla Camera. Che ha scalzato Riccardo Fraccaro, ufficialmente per il veto del centrodestra che lo avrebbe ritenuto “non idoneo”. Troppo vicino a Di Maio, troppo allineato, già indicato come eventuale ministro per i Rapporti con il Parlamento del governo ombra, con un profilo meno istituzionale di Fico, già “allenato” grazie alla presidenza della Commissione di Vigilanza sulla Rai.

Fico: taglio ai costi politica tra le priorità della legislatura

Nel Movimento esultano comunque. Perché la scelta di Fico, da sempre l’alter ego di Di Maio, suggella anche la pax dentro il M5S, che soltanto lo scorso settembre a Rimini - quando Di Maio fu incoronato capo politico - sembrava sul punto di saltare. Tra l’immagine di allora - il neoleader sul palco con un discorso da candidato premier, il “rivale” giù mescolato tra la folla in un Aventino dichiarato - e quella odierna dell’abbraccio tra i due davanti ai gruppi parlamentari riuniti sono passati sei mesi cruciali di paziente ricucitura. «La scelta di Fico - commentano i pentastellati in Transatlantico - non deve stupire: è il culmine di un percorso e non un “regalo” agli oppositori interni. Se fosse una questione di poltrone Roberto non avrebbe mai accettato». Artefice della riconciliazione, dietro le quinte, è stato Beppe Grillo, da sempre mediatore tra le diverse anime.

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L’ala ortodossa del Movimento, quella che durante la metamorfosi “governista” tuonava contro la normalizzazione e gli uomini soli al comando, riceve così un riconoscimento illustre e ascende allo scranno più alto di Montecitorio con l’anti-Di Maio. Il laureato di Napoli contro il non laureato di Pomigliano D’Arco. Il 43enne movimentista in jeans (che ora dovrà abbandonare) fautore dell’orizzontalità e delle battaglie in difesa dei beni comuni contro il 31enne in giacca e cravatta che dialoga con le lobby e l’establishment un tempo odiato. Il vecchio e il nuovo Movimento. La sinistra (come la famiglia di Fico) e la destra (come l’estrazione di Di Maio). Entrambi trionfatori nei loro collegi alle elezioni del 4 marzo.

Le parole di Fico, commosso, all’assemblea degli eletti sono una dichiarazione di fiducia piena: «Il nostro candidato alla presidenza del consiglio è Luigi Di Maio. È giusto che vada al governo per realizzare il nostro programma. Io cercherò di rispettare in tutti i modi il ruolo che mi avete dato». È il lasciapassare alle scelte delle prossime settimane, compresa quella, tutta da verificare, di un governo con il centrodestra, indigesto agli ortodossi, che continuano a preferire un asse con il Pd derenzizzato. Ma le aperture sperate non sono finora arrivate. A Salvini, invece, è stato riconosciuto il merito di aver costretto Berlusconi a recedere dal nome di Paolo Romani. Era soltanto il 24 gennaio quando Fico giurava: «Mai alleati con la Lega, siamo geneticamente diversi». Di mezzo c’è stato un voto. E tanta spregiudicatezza in più.

Di Maio: chi vota Casellati al Senato, vota Fico alla Camera
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