dopo la doccia fredda DI EUROSTAT

Banche venete, i passi falsi del governo sui conti pubblici

di Alberto Magnani

Dopo-Eurostat-sentiero sempre più stretto per i conti pubblici

4' di lettura

Chi ha sbagliato i calcoli sul salvataggio delle banche venete? È stato il governo a sottovalutare il costo dell'operazione su debito e deficit pubblico, o sono stati i tecnici di Eurostat a interpretare con eccesso di zelo la manovra di recupero (e vendita a Intesa Sanpaolo) delle moribonde Veneto Banca e Popolare di Vicenza? La questione non è di poco conto. La decisione di Eurostat di far contabilizzare nei conti pubblici italiani del 2017 circa 12 miliardi di euro di aiuti di Stato, ha provocato non solo un'inattesa (e preoccupante) revisione al rialzo del deficit e del debito rispetto a quanto stimato dal governo uscente, ma ha smentito nei fatti conti e rassicurazioni sulla neutralità contabile dell'operazione fatte da Palazzo Chigi e dal Tesoro. Chi ha sbagliato i conti? La risposta, per certi versi clamorosa, è già a portata di mano: nel rapporto integrale di verifica tecnica del salvataggio, Eurostat dettaglia tutti i passi falsi del Governo, dell'Istat e della Banca d'Italia sia nella valutazione giuridica e normativa della manovra, sia nella sua presentazione formale alle autorità europee.

L'Istat non ha menzionato nel comunicato diffuso martedì i rilievi contabili e formali emersi dalla verifica europea, ma il documento integrale parla con una certa chiarezza. Eurostat si è solo limitato ad applicare i suoi parametri sulle «modalità di registrazione» delle operazioni, arrivando alla conclusione che ha spiazzato l'Italia: l'attività di salvataggio deve essere considerata un aiuto di Stato il cui costo ricade «all'interno del settore generale del governo».
Per il governo uscente (ma non solo), insomma, il colpo è duro. Fu proprio l'ex ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, durante un question time alla Camera sul salvataggio delle banche venete, a rassicurare il Parlamento e l'opinione pubblica sul fatto che la garanzia di Stato nella cessione delle sofferenze di Veneto Banca e Popolare di Vicenza non avrebbe avuto impatti «né sul debito pubblico, né sul deficit». A quanto pare, è andata un po' diversamente.

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L'Eurostat ha stabilito che i costi del salvataggio peseranno per 4,7 miliardi di euro sul deficit e per 11,2 miliardi di euro sul debito italiano del 2017. La revisione contabile non avrà effetti diretti sulla valutazione dell'Italia ai fini del patto di stabilità, spiegano da Bruxelles, ma ha già costretto l'Istat a rivedere al rialzo le sue stime sul rapporto deficit-Pil del 2017 (a 2,3% dall'1,9% del primo trimestre).

Le due criticità rilevate dall'Eurostat…
Prima di tutto, è bene capire le premesse. La lettera di Eurostat fornisce all'Istat, su richiesta di quest'ultima, un parere sulla «appropriata registrazione» nei bilanci nazionali delle due operazioni di salvataggio e sulla classificazione del liquidatore che ha «gestito gli asset di entità residuale» (come i quasi 20 miliardi di sofferenze rifiutati da Intesa Sanpaolo, l'istituto che ha rilevato la parte sana delle due venete). Ed è qui che emerge il primo cortocircuito: Istat ha proposto tre diverse modalità di registrazione dell'operazione di salvataggio, ma non ha formulato una «classificazione settoriale» che consenta di inquadrare il liquidatore. Ad esempio, si tratta di un soggetto pubblico o privato? Dipendente dalle garanzie governative o del tutto autonomo? Eurostat ha optato per le prime due ipotesi,  ritenendo che il nostro governo fosse «materialmente esposto ai rischi associati con il valore residuale del portafoglio gestito dal liquidatore» a causa di interventi diretti come la garanzia fino a un massimo di 6,4 miliardi di euro concessa a Intesa dallo Stato. Ai sensi dei regolamenti della Commissione europea, infatti, qualsiasi veicolo deve essere «classificato nel settore generale del governo» quando lo Stato «assume tutti o la maggioranza dei rischi associati con un'attività a controllo statale».

Il secondo nodo riguarda direttamente le stime fornite da Eurostat, ossia l'impatto di 4,7 miliardi di euro sul deficit e di 11,2 miliardi sul debito pubblico. Per quanto riguarda il deficit, il rapporto negativo tra entrate e uscite, l'Eurostat ha previsto che l'attività di recupero dei crediti in sofferenza si chiuda con flussi di cassa in uscita per 14,7 miliardi e flussi di cassa in entrata per 10 miliardi di euro (quindi un rosso, appunto, di 4,7 miliardi). Per quanto riguarda il debito pubblico, la stima di 11,2 miliardi deriva dalla semplice somma degli aiuti versati a Intesa Sanpaolo per la rilevazione della parta sana delle due venete: 6,4 miliardi di euro di garanzia del governo e 4,8 miliardi in finanziamenti diretti all'istituto bancario. L'intero calcolo, però, è alterato dall'assenza di un'istituzione super partes e concorrenziale. Per stabilire il valore dei crediti in sofferenza, Eurostat pone infatti come precondizione la disponibilità di «stime di recupero affidabili e prudenti», realizzate da un corpo indipendente. Ma le uniche previsioni fornite da Istat sono a cura della Banca d'Italia, tagliando fuori banche straniere, società finanziarie, banche specializzate in attività di recupero crediti e persino altre istituti europei soggetti a un processo di liquidazione coatta. Eurostat ha dovuto produrre così una stima sull'impatto netto (rapporto entrate-uscite) del salvataggio delle due venete sulla base di un precedente unico e, ovviamente, italiano: la ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena. Il valore economico attribuito da Eurostat ai bad loans (crediti in sofferenza) delle due banche è stato stimato al 27,4%, influenzando anche le stime successive sul rapporto tra cash inflows ed uscite cash outflows. Una valutazione formulata davvero dal mercato avrebbe consentito, probabilmente, un risultato diverso e meno penalizzante.

...e il caso (simile) della Francia
La buona notizia, si fa per dire, è che la “svista” italiana non è isolata. In un documento analogo su un caso che riguarda la Francia, le due iniezioni di capitale per 4,5 miliardi a favore della ristrutturazione della multinazionale dell'energia Areva, Eurostat arriva alle stesse conclusioni: i capitali investiti vanno considerati come “spesa governativa”, nonostante il governo abbia tentato di giustificarle come private dividendole in due tranche e facendo partecipare una newco. Anche in questo caso non si tratta di una scossa poderosa per i conti del paese, spostati di qualche decimale sul bilancio delle passività. Ma di uno scarto abbastanza brusco tra le attese dei governi e i conti effettivi. O, come dice l'Eurostat, tra “la forma dei bilanci e la loro sostanza”.

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