i processi

Terrorismo: cellule radicate in Italia, condannati jihadisti ai tribunali di Bari e Venezia

di Ivan Cimmarusti

3' di lettura

Terrorismo internazionale di matrice jihadista con pericolosi radicamenti in Italia. Con questa accusa sono stati condannati in due diversi processi, uno a Bari e uno Venezia, soggetti ritenuti legati al fondamentalismo islamico. In particolare, nel capoluogo pugliese è stato condannato a 5 anni di carcere il ceceno Eli Bombataliev, arrestato a Foggia a luglio 2017 perché affiliato al gruppo terroristico “Emirato del Caucaso”. A Venezia, invece, il Tribunale ha stabilito di condannare i kosovari Arjan Babaj a 5 anni e Dake Haziraj e Fisnik Bekaj a 4 anni.

Un foreign fighter legato al gruppo “Emirato del Caucaso”
A carico di Bombataliev - un foreign fighter - sono state raccolte telefonate con esplicito riferimento ad attentati terroristici, alla sua volontà di tornare a combattere in Siria e alla sua partecipazione all’assalto di Grozny (Cecenia) del dicembre 2014 alla ”Casa della Stampa” e ad una scuola, costato la vita a 19 persone. Dagli accertamenti è emerso anche che avrebbe istigato al martirio la moglie, una 49enne russa poi espulsa, con la richiesta esplicita di diventare una “shahidka”, donna kamikaze con cintura esplosiva. Bombataliev era stato ospitato a lungo nell’associazione culturale “Al Dawa” di Foggia, il cui presidente, il 59enne Mohy Eldin Mostafa Omer Abdel Rahman di origini egiziane, è stato arrestato nelle scorse settimane con l’accusa di indottrinare bambini alla jihad (si attende nelle prossime ore la decisione del Tribunale del Riesame di Bari sulla richiesta di scarcerazione.

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L’indagine connessa: il fondamentalismo insegnato ai minori nati in Italia
Parallelamente la Digos ha arrestato un altro soggetto legato a Bombataliev. Si tratta di Abdel Rahman Mohy Eldin Mostafa Omer, nato a Il Cairo il 27 novembre 1958 e ammanettato a Foggia con l’accusa di associazione per delinquere terroristica. Secondo gli inquirenti insegnava la teoria del jihad e del fondamentalismo islamico alle cosiddette seconde generazioni di migranti musulmani nati in Italia. Una «intensa attività di indottrinamento nei confronti di un gruppo di bambini di tenera età tra i 4 e 10 anni» cui si impartivano concetti legati al martirio per la conquista del Paradiso, ma anche l’odio verso i cristiani e l’Occidente.

Ai bambini diceva: «Paradiso a chi combatte i miscredenti»
Nei documenti risultano alcune intercettazioni ambientali svolte durante questi corsi con i minorenni. In una afferma che «“giurare fedeltà a lui (profeta, ndr) oggi, significa che voi dovete difenderlo come difendete le vostre donne e i vostri bambini…cioè significa che voi dovete essere contro gli arabi e gli stranieri per lui…se siete in grado di farlo, fate il giuramento…se non siete in grado lasciatelo con la sua gente”, spiegando - riassumono gli investigatori negli atti - che il profeta promette il paradiso a chi combatte per lui contro i miscredenti: “Che lo hanno ucciso…capito?...chi è andato a combattere è perché quello se io devo andare in Paradiso che sto a fare qua…è andato a combattere finché è stato ucciso ed è andato in Paradiso». Inoltre, «l’indagato invitava i suoi giovani alunni a non aver alcun contatto con i cristiani, di non credere alle loro affermazioni di essere tutti fratelli, perché è un tentativo di sviarli, “di farti perdere l’Islam”».

Jihadisti a Venezia: volevano colpire il Ponte di Rialto
Secondo le indagini i tre kosovari avevano messo nel mirino, tra l’altro, un attentato al Ponte di Rialto di Venezia. Per tutti e tre al termine della detenzione scatterà l’espulsione. I tre, più un quarto minorenne e già condannato a 4 anni e otto mesi, di professione camerieri, si incontravano in un appartamento a due passi dal Piazza San Marco per studiare l’Isis e tecniche di guerra.

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