terrorismo

Migrante del Gambia fermato a Napoli: «Dovevo lanciarmi con un’auto sulla folla»

di Ivan Cimmarusti

(Imagoeconomica)

3' di lettura

«Mi hanno chiesto di prendere una macchina e investire delle persone». Alagie Touray, 22 anni, del Gambi, era stato assoldato dall’Isis per compiere un attentato in Italia. Le indagini della Digos della polizia e del Ros dei carabinieri hanno consentito di ricostruire le presunte intenzioni dell’uomo, individuato attraverso un video postato sul web in cui con termini solenni giura «fedeltà al califfo dei musulmani Abu Bakr Al Baghdadi, nei momenti difficili e facili (...) Allah è testimone». Un messaggio che secondo gli analisti dell’intelligence «precede gli attacchi terroristici» come quelli già avvenuti in Europa.

Associazione per delinquere di tipo terroristico
Ma andiamo con ordine. Touray è accusato di associazione per delinquere di tipo terroristico. Stando agli atti «in concorso con altre persone allo stato non identificate, partecipava alla associazione terroristica internazionale denominata “Stato Islamico” ovvero “Daesh”, ramificata in più stati anche europei e capeggiata dal noto (califfo) Abu Bakr Al Baghdadi (...)». L’ipotesi è che Touray fosse pronto «al compimento di atti di violenza terroristica».

Loading...

Giunto in Italia utilizzando un barcone salpato dalla Libia
Gli investigatori dell’Antiterrorismo lo hanno interrogato a lungo al fine di ricostruire ogni aspetto della sua vita. Ha spiegato di essere giunto in Italia 13 mesi fa utilizzando un barcone partito dalle coste della Libia. Il gip di Napoli riassume il verbale nell’ordinanza: «Racconta di trovarsi in Italia da 13 mesi, di esservi giunto attraversando la tratta Gambia, Senegal, Mali, Niger, Libia, imbarcandosi da Sabratha per raggiungere la Sicilia, ove era rimasto un paio di giorni, per poi essere accompagnato a Licola. Touray indica i nomi delle persone che si erano occupati del suo viaggio, in particolare il capo del campo in Libia (Abdul Hakim) e un gambiano al quale giunto a Tripoli aveva pagato una somma di denaro (800 euro) per giungere al campo libico. Racconta poi le difficoltà incontrate per imbarcarsi e per giungere in Italia, al fine di potersi poi recare dal fratello che vive in Germania, ove si è sposato, e che gli ha detto che è possibile trovare lavoro».

Il video coincide con quelli girati da altri stragisti
Gli investigatori sono arrivati a lui analizzando il web e attraverso informazioni giunte dalla Spagna. Così hanno scoperto il video in cui presta giuramento. Un video che coincide con quelli girati da altri stragisti poco prima degli attentati. Gli analisi dell’intelligence riportano nei documenti che «viene posto in evidenza che tale giuramento è propedeutico al compimento di attentati in nome del califfato, così come avvenuto negli altri attentati perpetrati in Europa, quando purtroppo i video sono stati scoperti successivamente alla commissione degli attentati. In particolare sul punto viene richiamato il video postato da Anis Amri che, dopo essersi reso responsabile dell’attentato ai mercatini di Natale di Berlino il 19 dicembre 2016, dichiara obbedienza totale al califfo Abu Bakr Al Baghdadi».

L’interrogatorio del 21 aprile con i pm di Napoli
Touray è stato interrogato anche dai magistrati. Dopo un primo tentativo di far credere che il video fosse uno scherzo con suo amico, ha fatto parziali ammissioni, riferendo di un tale Batch Jobe che lo avrebbe assoldato per compiere l’attentato. Scrive il gip: «Alla domanda se Batch Jobe fosse realmente suo amico non risponde e si limita a dichiarare (...) che gli aveva dato la utenza di una persona da contattare in caso di problemi. Aveva chiamato quel numero, circa un mese addietro, e l’interlocutore gli aveva chiesto di realizzare il video, aggiungendo “dovevo prima realizzare il video e poi avrei ricevuto 1.500 euro. Sempre la persona con quel numero mi ha chiesto di prendere una macchina e andare addosso alle persone”. Specifica che non avrebbe mai accettato di uccidere nessuno». Il gip aggiunge che «non gli fu indicata una città, ma gli fu detto solo “di prendere una macchina e investire delle persone per uccidere”».

Gli sms: «Sono in missione»
Nel corso dei suoi interrogatori Touray ha tentato di negare di essere un musulmano. Tuttavia ci sono particolari che non tornano. A partire da alcuni sms trovati sulla sua utenza telefonica. A un interlocutore afferma che «non ti dimenticare di pregare per me, sono in missione». In altri ricorda che «ho bisogno delle vostre preghiere del Corano». A dimostrazione della sua fede, inoltre, c’è anche il segno del “zebiba” sulla sua fronte, «simbolo di fervente religiosità - si legge negli atti prodotta dal prolungato urto nel tempo della fronte sul pavimento, postura adottata durante la preghiera».

Riproduzione riservata ©
Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti