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Trattative tutte in salita: le basi in rivolta costringono M5S e Pd ad alzare la posta

di Manuela Perrone

2' di lettura

Se il dialogo tra M5S e Pd era già difficile in partenza, si è complicato strada facendo. Perché, al termine del secondo giro di consultazioni con il presidente della Camera Roberto Fico, è emersa con nettezza un’esigenza di entrambi i partiti, paradossalmente propedeutica all’avvio del confronto: alzare la posta delle reciproche richieste per giustificare la trattativa agli occhi delle rispettive basi inferocite. Ma se le distanze erano già palpabili, così diventano quasi incolmabili.

Se al primo round pentastellati e dem calcavano sulle aperture, seppur timide, oggi è stato un tripudio di distinguo. Le «differenze» sottolineate dal reggente Pd Maurizio Martina, costretto a riconoscere pubblicamente le posizioni diverse all’interno del Partito democratico, vanno lette in tandem con le «battaglie storiche» che, come ha chiarito Di Maio, non si può chiedere al Movimento di negare.

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L’elenco dei punti irrinunciabili per il M5S non è casuale, e sarà ripetuto oggi all’assemblea dei gruppi pentastellati convocata alle 19.30. Il capo politico ha citato innanzitutto il reddito e la pensione di cittadinanza, nella versione originaria, per dare una risposta a «quei 10 milioni di italiani che sono sotto la soglia della povertà relativa». Ha parlato dei

pensionati, alludendo senza citarlo al superamento della legge Fornero, richiesta che accomuna M5S e Lega, ma che marca la distanza con i dem. Ha nominato i precari e gli insegnanti, lasciando intendere che l’addio al Jobs Act e alla Buona Scuola, le riforme renziane per antonomasia, è tutt’altro che accantonato e negoziabile. Infine, ha inserito nella lista la lotta alle «grandi opere inutili», dalla Tav al Terzo Valico, su cui i pentastellati non intendono cedere.

In cambio, Di Maio mette sul tavolo la promessa di aggredire il conflitto d’interessi, auspicando una riforma della governance della Rai e delle Tv private per arrivare a un assetto in cui «un politico non può possedere organi di informazione». Ennesimo attacco a Berlusconi, che nasconde un nuovo assist a Matteo Salvini: l’ex Cavaliere, ha sostenuto Di Maio, «continua a mandare velate minacce alla Lega e a Salvini» tramite le sue televisioni e i suoi giornali, «qualora si accordasse con il M5S». Segno che forse il primo forno non è chiuso del tutto, a dispetto di quanto dichiarato, anche se dal Movimento si affrettano a smentire qualunque riapertura.

In ogni caso, la necessità riconosciuta da Di Maio di siglare un contratto di governo «al rialzo», al posto di un «compromesso al ribasso», pone un’ipoteca pesante sul confronto ancora prima che si apra. E fa sbiadire le intenzioni che sembravano essere state ventilate con la bozza di accordo messa a punto dal team di “saggi” guidati da Giacinto della Cananea e resa nota lunedì scorso: quattro giorni fa le divergenze venivano quasi soffocate dalle convergenze. Oggi la convenienza politica impone di rinverdirle, almeno a parole. Come se si cercasse un bagno nella purezza delle origini per scagionare il tuffo nel pozzo delle alleanze. Un’incognita per tutti.

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