di maio in difficoltà

M5S, il governo logora già. Tutti i fronti aperti dall’inchiesta «stadio di Roma» all’egemonia di Salvini

di Manuela Perrone

Di Maio: nel decreto dignità revisione del Jobs act e norme per il lavoro 4.0

4' di lettura

Appena 15 giorni di governo e il M5S è già in sofferenza. Con Luigi Di Maio nell’occhio del ciclone, costretto da un lato a rincorrere l’esuberanza di Matteo Salvini, che di fatto sta dettando l’agenda dell’esecutivo, e dall’altro a frenare la nuova slavina giudiziaria che da Roma ha gettato un’ombra lunga sull’intero Movimento.

Un’ombra fatta non di responsabilità penali, ma politiche. Arrivata per la prima volta a lambire direttamente i vertici: i l garante Beppe Grillo e Davide Casaleggio, il plenipotenziario dell’Associazione Rousseau che gestisce il “cuore” operativo dei Cinque Stelle. E che, a dispetto del suo trincerarsi dietro la figura di semplice “tecnico”, emerge ogni giorno di più come il vero stratega del Movimento.

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Il duello con Salvini è arduo. Il leader della Lega, da ministro dell’Interno, non ha affatto rinunciato ai suoi toni ruvidi. Anzi. Onnipresente nelle piazze e sui media, con le sue prese di posizione durissime sui migranti, l’uscita sullo stop al tetto ai contanti, l’annuncio della sperimentazione della pistola taser, le bordate contro la Francia proprio nel giorno del vertice del premier Conte con Macron.
«Luigi Di Maio di fronte al tornado Matteo Salvini», titola Le Monde. Il Movimento rincorre stancamente, provato (al contrario dell’alleato) dai risultati delle elezioni amministrative di domenica scorsa, a cui non è seguita nessuna vera autocritica. Almeno ufficiale. Ma la frana pentastellata anche nelle roccaforti del Sud è un segnale di malessere che va ben oltre la tradizionale debolezza del M5S sui territori.

Ma non c’è soltanto l’abbraccio soffocante con la Lega a preoccupare: è il fuoco mai spento che covava sotto la cenere di Roma ad aver ripreso vigore. L’operazione “Rinascimento” della procura è stata un terremoto. Sarà la magistratura a fare chiarezza sulle eventuali responsabilità dell’avvocato Luca Lanzalone, che per la giunta livornese di Nogarin aveva seguito da consulente la partita del risanamento della municipalizzata Aamps e per quella romana di Virginia Raggi aveva curato il dossier dello stadio della Roma, per poi essere «premiato» (parole incaute di Di Maio) con la presidenza di Acea. Ma quello che conta, come fanno notare molti parlamentari, è il metodo. Lanzalone fu presentato a Raggi dagli attuali ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, i due “emissari” spediti in Campidoglio da Grillo e Casaleggio a risolvere le tante grane dell’amministrazione Raggi. Da tempo era già apprezzato dai diarchi, tanto che al suo studio è stato affidato il compito di redigere il nuovo statuto del M5S e di rappresentare in giudizio l’ultima associazione MoVimento 5 Stelle creata nel dicembre 2017. Chiamata in causa dagli ex attivisti della prima, creata nel 2009. La causa è pendente al tribunale di Genova.

Nel mirino finisce di nuovo la gestione ipercentralizzata del M5S, a dispetto dei cavalli di battaglia della partecipazione e della democrazia dal basso. Gli errori dell’inner circle di Di Maio non vengono perdonati da chi, in questi anni, ha fatto il “grillo parlante” puntualmente silenziato. Come Roberta Lombardi, oggi consigliera regionale del Lazio. Come gli altri ortodossi, molti dei quali non vogliono esporsi anche se continuano a riunirsi chiedendo più democrazia interna: un organo collegiale intermedio che limiti il potere del capo politico. In sintesi: una revisione dello statuto.

È qui che il tema si intreccia con il rapporto con la Lega e con gli equilibri di governo. Perché è l’ala sinistra del Movimento che manifesta insofferenza. La senatrice campana Paola Nugnes il 13 giugno, in pieno caso Aquarius, postava su Facebook la foto di un migrante con la scritta: «E se fosse l’Africa a chiudere i porti?». «Non perdere mai di vista i diritti umani», è stato il monito ricorrente in questi giorni di Paola Taverna, Nicola Morra, Luigi Gallo. Ma anche la posizione del presidente della Camera, Roberto Fico, che a Repubblica, con equilibrio, ha affermato: «Prima della sicurezza viene la salvezza».

Il paradosso è che proprio da quest’anima del M5S Di Maio può trovare la chiave per uscire dall’angolo. Non è un caso che ieri, nella riunione convocata al Mise con tutti i ministri, i viceministri e i sottosegretari M5S, il leader del Movimento abbia invitato i “suoi” a rialzare la testa e a farsi sentire. Per rilanciare i temi cari ai pentastellati. Una strategia avviata da lui stesso giovedì, quando in pieno vortice Roma, ha annunciato il “decreto dignità”. Salvini insiste sulla caccia ai migranti, sulla sicurezza e sulla voce grossa con l’Europa? I Cinque Stelle proveranno a serrare i ranghi su reddito e pensione di cittadinanza, sulla manutenzione del territorio, sul lavoro, sui professionisti, sui costi della politica, sulla semplificazione e sulla salute (sempre ieri è partita la prima iniziativa della neoministra della Sanità Giulia Grillo, guarda caso sulla lotta alle odiose liste d’attesa negli ospedali pubblici). Una prova di virata per richiamare l’attenzione sulla parte del programma di governo targata M5S. E per recuperare una delle tante identità del Movimento: quella meno schiacciata a destra sulla Lega, la più ammaccata dalla spregiudicatezza e dalle scelte degli ultimi mesi.

Sarà Grillo, stavolta - con Casaleggio in imbarazzo per aver cenato e discusso di nomine con Lanzalone e con Pietro Dettori la sera prima dell’arresto («Era a un altro tavolo e l’ho salutato», si è giustificato oggi, intercettato nella Capitale da RepubblicaTv) - a correre a Roma per provare ancora una volta a ricompattare “ i suoi ragazzi”. Anche se malvolentieri. Con il suo passo di lato, in fondo, aveva già preso le distanze. Ieri sul suo blog postava una riflessione dal titolo “Donna non fa rima con corruzione”, raccontando uno studio pubblicato sul Journal of Economic Behavior & Organization. Un tentativo di difesa di Raggi? Forse. Ma il pensiero corre veloce al governo Conte, che di donne ne ha in squadra appena 11 su 64: il 17 per cento.

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