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Stretta della Cina sui «minatori» dei bitcoin

Foto Afp

2' di lettura

Dopo gli exchange e le offerte di nuove criptovalute, la Cina si prepara al pugno di ferro anche nei confronti dei miners, il fulcro del sistema su cui si fonda il bitcoin. Nell’ultimo atto dettato dalla diffidenza nei confronti delle criptovalute, Pechino ha chiesto ai Governi provinciali di «guidare attivamente» le aziende nei loro territori di competenza ad abbandonare le attività di mining, stando a quanto affermato dal Financial Times.

Le voci su un’azione delle autorità cinesi contro le aziende che si occupano della certificazione dei passaggi di proprietà dei bitcoin, accusati di un consumo eccessivo di energia e di alimentare i rischi finanziari. Già i principali attori del mercato hanno scelto di delocalizzare. Bitmain, che gestisce i due maggiori operatori cinesi attivi nel mining, sta spostando il quartier generale a Singapore e ha avviato attività operative negli Stati Uniti e in Canada. Il terzo più grande, Btc.Top, starebbe inoltre aprendo in Canada, mentre il quarto è già attivo in Islanda e Usa.

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I miners sono i certificatori dele transazioni in bitcoin attraverso la soluzioni di complessi problemi matematici, attività che richiede enormi quantità di potere computazionale e di energia. Per questo motivi gli operatori del settore preferiscono i paesi dove l’energia è più a buon mercato, il Sud-est asiatio e la Cina, e quelli più freddi, dall’Islanda al Canada, dove il clima favorisce il raffreddamento degli impianti.

La Cina rappresentava un anno fa più di due terzi degli scambi su bitcoin, strumento spesso utilizzato per esportare valuta all’estero. Poi la progressiva stretta che ha riguardato prima le offerte iniziali di valute, operazioni per finanziare progetti più o meno realistici nel mondo delle criptovalute, e poi ha costretto alla chiusura le principali piattaforme nazionali di exchange, ne ha ridotto decisamente il peso specifico sul mercato.

L’azione da parte dei cinesi non sembra avere particolare effetto sui mercati, dove bitcoin rimane sopra 14.500 dollari, mentre le altre criptovalute maggiori continuano la flessione avviata da un paio di giorni. Con l’eccezione di Ethereum, la seconda per capitalizzazione, che continua su livelli record a 1.320 dollari.

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