20MILA BAMBINI SCHIAVI DEL SESSO/ Meno di 12 anni, accattoni, senza casa e famiglia: sono senza speranza?

- Eleonora D’Errico

Cambogia, la lotta delle onlus contro i trafficanti e gli sfruttatori delle baby prostitute: a Bankok sono 20mila le ragazzine minorenni sfruttate sessualmente

cambogia_thailandia_turismo_sessuale_baby_prostitute La lotta delle onlus contro il baby turismo sessuale in Cambogia e Thailandia

Ben più che minorenni, sono solo bambine le schiave del sesso che in Cambogia e Thailandia vengono fatte prostituire per fare tristemente “felici” i turisti, non solo occidentali. Bambine e bambini di 10, 11, 12 anni abusati da turisti senza scrupoli per pochi dollari nei bordelli purtroppo famosi di Bangkok. In Cambogia arrivano a sfiorare cifre agghiaccianti: sono circa 20mila i piccoli che costituiscono l’esercito di coloro che li sfruttano, creando una vera piaga sociale che colpisce i più deboli. A denunciare il fatto, sono i bembri delle Onlus, come Chiara Cattaneo, responsabile dei progetti di Mani Tese in Cambogia, che rivela a In Terris come spesso i bambini siano venduti dalle loro stesse famiglie, che si lasciano spesso convincere dalle promesse di una vita migliore per i loro figli da parte dei trafficanti. Proprio Mani Tese, insieme a numerose altre organizzazioni, lotta ogni giorno per ridurre il crescente fenomeno dello sfruttamento sessuale dei minori. Lo sfruttamento di molti bimbi è terribile e di vario genere. Diventano accattoni, vengono utilizzati per il lavoro domestico o, peggio, vengono sfruttati sessualmente.

CAMPAGNE DI SENSIBILIZZAZIONE 

E proprio contro questo lottano le organizzazioni umanitarie. Con campagne di sensibilizzazione, si prova a ridurre il fenomeno o, comunque, a incrementare la consapevolezza da parte delle famiglie sui rischi che possono correre i bambini. “Puntiamo molto sulle campagne di sensibilizzazione, perché si modifichi questo approccio alla donna e alla sessualità che è dominante – spiegano gli operatori di Mani Tese. Un occhio di riguardo anche verso i turisti che, essendo lontani da casa, si sentono più liberi, e coi soldi in tasca si sentono onnipotenti: “C’è un grave problema culturale di fondo”. Gli sfruttatori sono principalmente asiatici, come spiegano gli operatori di Mani Tese, ma, purtroppo, la presenza di turisti occidentali e italiani che sfruttano il fenomeno è ancora forte: “È difficile avere dei dati certi ed è difficile quantificare il fenomeno – raccontano – Non si tratta solo di turisti occidentali: a Poipet per esempio ci sono casinò in cui arrivano uomini thailandesi. La presenza di turisti occidentali, come anche di italiani, rimane comunque ancora molto forte“. 

CONTRO IL SISTEMA

Il percorso di recupero proposto prevede, oltre all’assistenza sanitaria e psicologica, anche il recupero delle proprie origini e della propria identità. Nel sud est asiatico il dramma di chi è vittima del traffico di esseri umani è anche quello di essere senza nome, senza un documento, senza un contesto abitativo stabile. E quindi diventa un’impresa anche ritrovare la famiglia di origine delle bambine salvate dal giro della prostituzione. A ciò si aggiunga il fatto che in Thailandia e Cambogia esiste una legislazione che prevede il contrasto dei trafficanti ma è difficile dimostrare il reato di tratta e pochi sono i casi di arresti. È prevista anche la punibilità del cliente per reato di prostituzione minorile ma in questi Paesi esiste una corruzione endemica per cui accade che le piccole e le giovani donne sfruttate nel giro della prostituzione siano consegnate alla polizia ma sono i poliziotti stessi che le rimettono nelle mani dei trafficanti

Il percorso è lungo, ma gli operatori non si scoraggiano: “Ogni anno portiamo avanti delle campagne di informazione basilare rivolte alle famiglie emigrate in questi territori. Attraverso spot, manifesti, incontri nelle comunità locali cerchiamo di avvisarle del pericolo che i trafficanti possono essere anche dei vicini, degli amici, dei parenti stessi che si nascondono dietro l’inganno di un sostegno economico alla famiglia tramite il lavoro delle figlie”.





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