ELEZIONI IRAQ, CROLLO AFFLUENZA AL 44%/ Forse oggi i risultati (incerti): Isis colpisce a Kirkuk durante voto

- Silvana Palazzo

Iraq al voto, prime elezioni dopo la vittoria sull'Isis. Anche per questo c'è paura di violenze delle cellule jihadiste. Sfida tra Usa e Iran: equilibri internazionali in gioco

iraq_wikipedia Baghdad (Foto: da Wikipedia)

Oggi in giornata sono attesi i risultati delle prime elezioni dell’Iraq dopo la liberazione dall’Isis, almeno dal punto di vista territoriale: purtroppo lo Stato Islamico si è fatto lo stesso sentire durante le operazioni di voto attaccando in diversi punti la città settentrionale di Kirkuk mentre la gente si recava alle urne. Sono morti 4 miliziani terroristi e due poliziotti, diversi i feriti: una vittoria quella sullo Stato Islamico che come si può dunque osservare è tutt’altro che definitiva e completa. Non solo gli attentati ma anche l’affluenza è stata un passo indietro rispetto al desiderio di rinascita dopo la distruzione: la gente aveva paura e solo il 44,5% della popolazione è tornata al voto dopo il 2014 (che invece aveva registrato oltre il 60% di affluenza totale). Il risultato è assai incerto – e potrebbe anche arrivare entro domani o martedì, al più tardi – e non dovrebbe comunque essere possibile un ritorno di una posizione dominante sull’altra: è stato infatti calibrato con una complessa legge elettorale il fatto per cui non debba in alcun modo tornare la dittatura, perciò l’equilibrio tra le varie comunità religiose e culturali del Iraq dovrebbe rimanere intatto, come spieghiamo qui sotto. (agg. di Niccolò Magnani)

I NUMERI DELLE ELEZIONI

L’Iraq tornerà al voto per la prima volta dopo la caduta dell’Isis. Un’elezione di proporzioni importanti, come testimoniato anche dai numeri della stessa. Sono infatti 88 le liste di candidati, per 329 seggi parlamentari, 9 riservati alle minorazione religiose non islamiche. I candidati per il parlamento sono 6.900 suddivisi in 87 partite, mentre le candidate sono 2.011, per il 25% dei seggi totali. 24.5 invece i milioni di elettori chiamati alle urne, che stando ad un recente sondaggio pubblicato dall’Huffington Post, credono poco nella politica. L’85% dichiara infatti di credere nell’esercito, il 73% nei movimenti popolari, il 58% nelle autorità religiose, il 26% nei tribunali, il 24% nel governo centrale, il 15% nelle amministrazioni locali, e infine, solo l’8% nei politici. Stando ad un altro sondaggio, inoltre, il 70% degli elettori ha dichiarato di voler prendere parte alle elezioni, una percentuale che si abbassa nel Kurdistan, dove scende poco sotto il 60%. Insomma, gli iracheni stanno sentendo particolarmente questa nuova tornata elettorale: non ci resta che attenderla e scoprire per chi avranno votato. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

L’OCCIDENTE FA IL TIFO PER HAYDAR AL-ABADI

Le elezioni in Iraq possono rappresentare un importante momento di svolta nel sempre fragile scacchiere del Medio Oriente. Non è un mistero che l’Occidente nel suo insieme tifi per una riconferma del premier uscente Haydar al-Abadi, l’uomo che attraverso il dialogo nei suoi anni al governo è riuscito a farsi garante di tutte le posizioni all’interno del Paese, e anche al di là dei suoi confini. La sua lista, denominata “Vittoria” proprio per cavalcare l’onda della popolarità derivata dal successo sull’Isis, è nazionalista ma laica. Il premier uscente è riuscito – almeno in parte – a garantire i diritti delle minoranze religiose: un risultato da non sottovalutare considerando che i dissidi si erano esacerbati non poco durante il governo al-Maliki, suo rivale principale in questa tornata. Buoni rapporti al-Abadi è riuscito a mantenere negli anni tanto con gli Usa quanto con l’Iran, che pure fa il tifo per un ritorno alla ribalta di al-Maliki. Passa pure dalle elezioni in Iraq, insomma, l’equilibrio geopolitico post-ritiro Usa dall’accordo sul nucleare iraniano. (agg. di Dario D’Angelo)

IRAQ AL VOTO, PRIME ELEZIONI DOPO SCONFITTA ISIS

In Iraq si vota: sono state aperte le urne elettorali. Quarte elezioni legislative dalla caduta del regime di Saddam Hussein, avvenuta quindici anni fa, le prime dopo la sconfitta dell’Isis. Per scongiurare proprio lo spettro dell’Isis, che mantiene attive le sue cellule in Iraq, sono state predisposte misure di sicurezza eccezionali. Non c’è solo il pericolo delle violenze settarie, ma anche lo spettro del terrorismo: il timore che l’Isis possa colpire, dopo l’uccisione nelle ultime settimane di tre candidati, è alto. Il premier uscente, Haidar al Abadi, che ha condotto con successo la guerra contro il sedicente Stato islamico, ha lanciato un appello agli iracheni affinché non disertino i seggi. A disposizione ci sono 329 seggi parlamentari, di cui nove riservati alle minoranze religiose non islamiche. Sono ben 88 le liste in lizza. Per queste elezioni non si ripresentano le tradizionali contrapposizioni confessionali ed etniche tra sciiti e sunniti e tra arabi e curdi, ma ci sono anche tensioni all’interno di queste stesse fazioni.

IRAQ AL VOTO, PRIME ELEZIONI DOPO L’ISIS: I CANDIDATI

Dopo l’annuncio della vittoria sullo Stato islamico, si vota in Iraq. La speranza è che dal voto emerga un quadro politico in grado di favorire la stabilizzazione del Paese e la ricostruzione. Sono circa 24,5 milioni gli elettori chiamati al voto in un contesto politico frammentato: gli sciiti sono maggioritari ma divisi, i curdi indeboliti dal braccio di ferro con il governo centrale per una maggiore autonomia, mentre i sunniti sono marginalizzati. Nei giorni scorsi un milione di residenti all’estero hanno votato in 21 diversi Paesi, stando alla commissione elettorale. Sono tre i leader che puntano al posto di primo ministro, anche se il nuovo governo nascerà dopo lunghe trattative tra le coalizioni principali, visto il sistema proporzionale. Il favorito è il premier uscente, che ha una posizione di equilibrio tra le potenze regionali, Iran e Arabia Saudita, e mondiali, Russia e America. Il primo sfidante è l’ex premier Nouri al-Maliki, che paga però la disfatta del 2014 contro l’Isis e la  “scomunica” dela Grande Ayatollah Ali Sistani, il quale ha invitato a non votare «chi ha fallito in passato». L’uomo degli iraniani è Hadi al-Amiri, che punta al ritiro delle truppe americani ancora in Iraq e all’integrazione delle milizie sciite nelle forze di sicurezza nazionali. 





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