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"Paesi cesso", l'ipocrita condanna contro Donald Trump

Pietro De Leo
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Che brutta fine, per il mondo liberal e multiculturalista, dagli Stati Uniti all'Italia! Tutti ridotti a danzare sull'orlo di un cesso. Sì, quello che sarebbe stato citato da Donald Trump e diventato più famoso di quello di Duchamp. Nel corso di un incontro a porte chiuse sulla riforma delle politiche per l'immigrazione, parlando di Haiti, El Salvador, alcuni stati africani, l'inquilino della Casa Bianca avrebbe detto: "Perché gli Stati Uniti dovrebbero avere tutta questa gente che arriva da questo cesso di Paesi"? E poi avrebbe anche sottolineato come sarebbe più utile accogliere persone in arrivo da Paesi come la Norvegia. Fa nulla che poi quelle frasi, rivelate off the record dai partecipanti all'incontro, siano state smentite dal diretto interessato, che comunque ha confermato l'utilizzo di un linguaggio duro. Oramai la Grande Censura aveva rimesso in moto il suo ingranaggio e, dalla stampa liberal americana a quella nostrana (basta farsi un giro sulle prime pagine di oggi) è un coro di “racist” o “razzista”. Trance agonistica nel “dagli al grande cattivo”. Ovviamente sono arrivate dichiarazioni di sdegno dai governi coinvolti nelle dichiarazioni e dall'Unione Africana. Immancabile l'Onu, che si è scagliata contro Donald, attraverso un portavoce, bollandone le parole come “vergognose”. Peccato sia proprio l'Onu, in realtà, a validare gli argomenti di Trump. Un lungo articolo del National Review su questa polemica, infatti, cita l' “Indice di Sviluppo umano”, realizzato dalle Nazioni Unite (facilmente rintracciabile sul web) prendendo a spunto diversi indicatori, tra cui scolarizzazione, qualità della vita, tutela della salute. Cosa si evince? Che al primo posto dell'indice compare, guarda caso, la Norvegia. El Salvador sta al 117esimo posto, Haiti sta al 163, nel gruppo denominato “Paesi a basso sviluppo umano”. E si trova in compagnia di moltissimi Stati africani come il Rwanda, il Camerun, il Mozambico. Peraltro, fa notare sempre il National Review, il Cis (Center For Immigration Studies), un think tank indipendente che si occupa di politiche migratorie, ha approfondito quanto gli immigrati “utilizzino” il welfare degli Stati Uniti: quelli provenienti dall'America Centrale e dal Messico per il 73%, quelli che vengono dai Caraibi per il 51% e dall'Africa per il 48%. Gli europei emigrati negli Usa invece sono sul 26%. L'equazione, dunque è semplice: più sono in grado di badare a se stessi, meno welfare utilizzano, meno costano ai cittadini statunitensi. Chi non vorrebbe un'immigrazione che gravi economicamente il meno possibile sulla collettività? Ma qui è la fiera dell'ipocrisia, e allora parole dette male, per quanto siano presunte, diventano suggello di condanna culturale. E passano in secondo piano, ad esempio, dati importanti come quelli di dicembre sul lavoro negli Stati Uniti, che vedono gli afroamericani raggiungere il tasso di disoccupazione più basso in quasi mezzo secolo, 6,8% (-0,4% rispetto a novembre). Gli ispanici sono invece al 4,9 (+0,1% rispetto a novembre). Insomma, dato per dato, trovare lavoro è cinque volte più facile per un nero negli Stati Uniti di Trump che per un giovane nell'Italia del Pd. Ma tutto questo non fa brodo nella sinistra della "jihad morale". Come non fa brodo, ovviamente, quanto affermato giovedì da Emmanuel Macron in conferenza stampa a Roma. Sulla questione dell'accoglienza e dell'asilo ai migranti ha detto: “Bisogna difendersi dai falsi buoni sentimenti”. Così parlò l'ex socialista francese, colui che sei mesi fa veniva incensato dalla sinistra nostrana come Eroe che ha sconfitto l'Armata delle Tenebre di Marine Le Pen. Sipario.

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