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M5S, Pd, FI e Lega. È il gioco dei veti

Luigi Di Maio

Di Maio non vuole il Cav, ma apre a Salvini che per ora resiste

Pietro De Leo
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È l'anno dei piedi e dei veti. Sì, perché il primo giro di consultazioni più ecologico che la storia ricordi (a parte Berlusconi tutti i leader hanno fatto con le proprie gambe la salita al Colle) è incagliato in una serie di stop reciproci. Una ragnatela di rivendicazioni che, al momento, appare alquanto difficile districare. Ieri si è dipanato un copione già chiaro alla vigilia. Silvio Berlusconi, guidando la delegazione di Forza Italia, ha posto il suo anatema sull'ipotesi di un governo «dove prevalgano l'invidia e l'odio sociale, populismo, pauperismo e giustizialismo che innescherebbero una spirale recessiva e di tasse elevate». Parole che riportano indietro le lancette dell'orologio a poco più di un mese fa quando con queste parole si scagliava in campagna elettorale contro il MoVimento 5 Stelle. Anche Luigi Di Maio, da par suo, ha escluso Forza Italia dal novero degli interlocutori, in realtà innescando, con l'artificio esterofilo del contratto «alla tedesca», una versione riveduta e corretta della politica dei due forni: Pd da un lato e Lega dall'altro. Via, dunque, gli azzurri e Fratelli d'Italia. E in serata sono arrivati altri due pesi massimi a chiarire lo scenario. Da un lato Antonio Tajani, a Cartabianca , parlando del MoVimento 5 Stelle, ha detto: «Siamo noi che non vogliamo fare una alleanza con chi non rispetta il voto popolare. Di Maio non può dire questo mi sta bene e questo no». Dall'altro il capogruppo pentastellato di Palazzo Madama Danilo Toninelli, da Porta a Porta , ha affermato: «Se si pensa di fare un governo con Berlusconi non sarebbe rispettato il voto popolare», lanciando un appello a Forza Italia affinché svincoli Matteo Salvini. SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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