La peggiore strage della storia americana

E’ stata una strage quella del Mandalay Bay di Las Vegas. Secondo la stampa statunitense, la peggiore perpetrata attraverso l’utilizzo di armi da fuoco, forse la prima con l’impiego di un fucile automatico a ripetizione modificato. Il killer, il 64enne Stephen Paddock, era un uomo normale a detta dei suoi familiari. Eppure nella sua stanza al 32esimo piano dell’hotel, dove risiedeva da tre giorni, aveva con sé un’arsenale di 23 armisulle oltre 40 totali che possedeva. Le stesse che ha impiegato per prendere di mira la folla di giovani stipata davanti al Mandalay per assistere al concerto di musica country previsto per il “Route 91 Festival”. Il bilancio ufficiale, finora, parla di 59 morti e non meno di 527 feriti, in condizioni più o meno gravi. Una carneficina inspiegabile, messa in atto da un uomo qualunque.

La strage al Mandalay

L’Isis garantisce come l’assassino di Las Vegas fosse un suo affiliato, convertito e pronto a rispondere all’appello di colpire i Paesi della coalizione anti-jihad. L’Fbi nega, ribadendo che non esistono collegamenti di sorta fra il folle e Daesh. Ma è anche vero che, all’interno dell’auto di Paddock, la Polizia pare abbia rinvenuto un composto chimico utilizzato sovente per la fabbricazione di esplosivo e, nella sua abitazione, altre 19 armi, tra fucili e pistole. E allora, chi era davvero il pensionato 64enne di Mesquite? Un terrorista che ha agito in nome del sedicente Stato islamico o “un uomo della folla” preda di un raptus omicida? Di certo il suo piano lo aveva studiato, portando con sé borse colme di armi con l’intenzione di utilizzarle dalla sua finestra contro gli avventori del concerto. Su come le abbia introdotte al Mandalay ci sarà da discutere. Ma, di rimando, se fosse stato davvero un soldato del califfato sarebbe stata notevole la sua capacità di averlo nascosto, per tanto tempo, ai suoi familiari, i quali spergiurano che lui fosse una persona del tutto comune, senza affiliazioni politiche o religiose.

La “normalità” del killer

Sicuramente, nel suo gesto criminale, Paddock ha coniugato entrambi i fattori, progettando nei minimi dettagli il suo piano (come fa un terrorista) e, al contempo, mascherando con astuzia le sue intenzioni dietro il velo di una vita normale, come gli stragisti (non Daesh) suoi predecessori. Sul suo passato si sa poco, se non che non avesse avuto nessun grave guaio con la legge. “Al massimo aveva beccato un paio di multe”, come ha spiegato suo fratello Eric. Lo sceriffo di Las Vegas ha parlato di “sociopatia”, altri dicono che fosse uno psicopatico sulla scia di suo padre, inserito negli anni ’60 nella lista dei “most wanted” dell’Fbi, per una rapina in banca e un’evasione. Si sa che Paddock amava il gioco di azzardo ma anche la musica country, la stessa suonata ai piedi del Mandalay mentre lui rompeva la finestra della camera e allineava vilmente il cane del suo mitra sulla folla ignara e inerme. Era al piano 32, una scelta forse non casuale: da lì ha avuto tutto il tempo di compiere il suo massacro prima che la polizia irrompesse nella sua camera, trovandolo già morto. Suicida, come gli stragisti della Columbine High School, nel 1999. All’epoca, quando a compiere la carneficina erano stati due studenti, si parlava di un’eccessiva facilità di accesso alle armi, anche ai più giovani. Se ne parla anche oggi. In mezzo, anni di episodi tragicamente simili e di medesimi discorsi.