3 Nov 2017

Corea del Nord, la via negoziale è ancora praticabile

La questione nordcoreana sarà al centro delle discussioni tra Donald Trump e i capi di stato che incontrerà nel suo primo viaggio in Asia. Nonostante le minacce ripetute di distruggere Pyongyang con “fuoco e furia”, la strada della diplomazia sembra al momento la più praticabile, o quanto meno la più consigliabile per evitare l’escalation. Se […]

La questione nordcoreana sarà al centro delle discussioni tra Donald Trump e i capi di stato che incontrerà nel suo primo viaggio in Asia.

Nonostante le minacce ripetute di distruggere Pyongyang con “fuoco e furia”, la strada della diplomazia sembra al momento la più praticabile, o quanto meno la più consigliabile per evitare l’escalation. Se non esiste al momento una soluzione semplice che possa portare alla denuclearizzazione, è però possibile negoziare un congelamento – che potrebbe in futuro evolvere in uno smantellamento – del programma nucleare nordcoreano.

Trump dovrebbe quindi utilizzare il suo primo viaggio in Asia orientale per avviare le discussioni con gli attori regionali (Corea del Sud, Giappone, Cina, a cui dovranno poi aggiungersi la Russia e la stessa Corea del Nord, rispecchiando il formato dei six-party talks) per un grand bargain che delinei gli scenari mutualmente accettabili nella penisola coreana.

Lo scopo di tale accordo dovrebbe essere duplice. In primo luogo, rassicurare tutti gli attori, soprattutto Pechino, circa il fatto che unirsi a Washington nel fare pressione su Pyongyang non evolverà in un cambiamento degli equilibri regionali che possa andare a detrimento degli interessi delle parti in causa. In secondo luogo, far comprendere a Pyongyang che non può più contare sulle divergenze interne al fronte dei propri partner negoziali per continuare la sua politica di sviluppo parallelo economico e nucleare (byungjin).

Al contrario, la compattezza del fronte dei partner negoziali è necessaria per convincere Pyongyang ad accettare misure di sostegno economico che portino a una maggiore integrazione della Corea del Nord nell’economia globale, in cambio di concessioni sul congelamento del programma nucleare. Se Pyongyang non dovesse adempiere a queste richieste, è altrettanto importante che i partner siano compatti nell’imporre ulteriori sanzioni.

Affinché il processo decolli, Trump dovrà primariamente rassicurare gli altri partner negoziali circa la serietà delle intenzioni di Washington. Rassicurazioni particolari dovranno poi essere rivolte alla Corea del Sud, partner negletto negli ultimi mesi da Trump, che ha invece preferito tenere contatti più ravvicinati con il Giappone e con la Cina di Xi.

Il presidente statunitense arriva però in Asia con una pesante ombra sul proprio capo: l’avvio – nel mese di ottobre – di un processo di revisione della strategia statunitense nei confronti dell’Iran, che rischia di mettere in pericolo l’accordo sul nucleare (Joint Comprehensive Plan of Action, JCPOA), raggiunto nel luglio 2015 tra Iran e P5+1.

Sebbene nella sostanza la questione del nucleare iraniano e quella del nucleare nordcoreano siano profondamente diverse, ad un livello superiore esse sono in realtà interconnesse: se Trump dà seguito, nei prossimi mesi, alla sua promessa di sottrarre gli Usa a un accordo – quello sul nucleare iraniano – che giudica impari, in che modo potrà mai convincere il leader nordcoreano Kim Jong-un e gli stessi alleati regionali a impegnarsi seriamente in un processo negoziale? In altre parole, quanto vale oggi la parola degli Stati Uniti d’America?

Se Trump, come più volte rivendicato in questi mesi, dispone di doti di abile negoziatore, questo è il momento per dimostrarlo.

 

Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow


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