15 Feb 2018

Iran-Israele: scontro di linee rosse in Siria

Il conflitto tra Iran e Israele è una parte del più ampio mosaico di conflitti per procura di cui la Siria è diventata teatro. “Guerra tra le guerre” la chiama Israele, che in questi anni si è tenuto ufficialmente al margine del caos siriano, approfittandone però per compiere campagne di bombardamento mirate a colpire convogli […]

Il conflitto tra Iran e Israele è una parte del più ampio mosaico di conflitti per procura di cui la Siria è diventata teatro. “Guerra tra le guerre” la chiama Israele, che in questi anni si è tenuto ufficialmente al margine del caos siriano, approfittandone però per compiere campagne di bombardamento mirate a colpire convogli di armi iraniane dirette verso Hezbollah o convogli stessi di combattenti, come il bombardamento che nel 2015 è costato la vita a Jihad Mughniyah, guerrigliero di Hezbollah figlio di un altro storico combattente.

Un conflitto “freddo”, che ha origine in una rivalità che risale ai primi anni ’80, dopo l’instaurazione della Repubblica islamica, della quale l’opposizione al “piccolo Satana” Israele è un pilastro ideologico. Uno dei suoi primi atti fondativi è la creazione a inizio anni ‘80 da parte iraniana di Hezbollah, allo scopo di combattere la presenza militare israeliana nel sud del Libano, nel contesto più ampio della guerra civile libanese. Un conflitto che da allora prosegue sottotraccia, con un livello superficiale fatto di molte esplosioni retoriche (su tutte le dichiarazioni antisemite dell’ex presidente Ahmadinejad, e la retorica sempre più dura di Netanyahu nei confronti dell’Iran post-accordo nucleare) e un livello più nascosto fatto di operazioni di intelligence, cyberattacchi e omicidi mirati.

In questo contesto, l’episodio dell’abbattimento da parte siriana di un jet israeliano lungo il confine tra Siria, Israele e Libano rappresenta un’escalation e un potenziale punto di non ritorno per il confronto tra Teheran e Tel Aviv (e Hezbollah). Simbolicamente, gli incidenti nei cieli degli scorsi giorni rappresentano lo scontro delle tante linee rosse che gli attori regionali hanno tracciato in Siria. Da parte iraniana, la sopravvivenza politica del regime di Bashar al-Assad è obiettivo prioritario: la linea rossa di Teheran è la salvaguardia della profondità strategica offerta dalla Siria, che consente a Teheran di mantenere aperta la linea di rifornimenti e comunicazione con Hezbollah in Libano ed esercitare in questo modo la deterrenza nei confronti di Israele. Per Tel Aviv, la linea rossa è rappresentata dall’esigenza di impedire che la Siria diventi per l’Iran potenziale trampolino di lancio per operazioni aggressive nei suoi confronti. Allo scopo di tenere l’Iran e le forze a lui simpatetiche il più lontano possibile dai propri confini, Israele è impegnato da almeno due anni nella creazione di una safe zone – un’area di influenza – che dalle alture del Golan (occcupate da Israele dal 1967, e controllate per il 70% da Tel Aviv e per il 30% dalla Siria) si estende a comprendere le province di Quneitra e Daraa, nella Siria meridionale, attualmente controllate dai ribelli che si oppongono ad Assad.

Vi è poi una terza linea rossa, quella della Russia, il cui intervento di mediazione sembra essere stato cruciale per evitare l’escalation dopo l’incidente dello scorso sabato. Dopo l’abbattimento di un jet russo da parte turca nel novembre 2015, Mosca ha installato in Siria, nella sua base militare di Khmeimim, il sistema di difesa anti-missile S-400. Da allora, la Russia può monitorare e intercettare tutto ciò che avviene nei cieli siriani, togliendo di fatto a Israele la superiorità aerea. Mosca e Tel Aviv hanno dunque aperto un canale di comunicazione per coordinarsi ed evitare incidenti aerei, ma questo comporta che Mosca possa intercettare e monitorare tutti gli attacchi israeliani nei confronti dei convogli di Hezbollah. Nel caso dell’episodio di sabato scorso, Mosca ha “permesso” a Israele di esercitare la propria rappresaglia attraverso il bombardamento delle batterie anti-aeree siriane, ma ha poi bloccato la reazione israeliana imponendo la propria linea rossa: la salvaguardia di Bashar al-Assad, o comunque la non alterazione degli equilibri sul campo in modo troppo sfavorevole o penalizzante per il regime.

Da quanto avvenuto sul campo è possibile poi trarre alcune considerazioni a livello di narrazioni/letture.

In primo luogo, si conferma il ruolo del Cremlino come garante degli equilibri nell’area: il fatto che Mosca intrattenga una relazione di dialogo sia con Iran che con Israele rende questo compito indubbiamente più semplice rispetto a quanto potrebbero fare – se ne avessero l’intenzione – gli Stati Uniti.

In secondo luogo, per l’Iran, l’abbattimento dell’F16 israeliano e l’invio poche ore prima di un drone in territorio israeliano ha rappresentato un grande successo dal punto di vista tanto operativo quanto di immagine. Se a livello assoluto la prontezza della reazione di Israele dimostra ancora una volta la sua superiore capacità militare, su un piano relativo il fatto che l’Iran sia stato in grado di compiere un’operazione del genere, e – per quanto riguarda l’invio del drone – per la prima volta da solo, senza il coinvolgimento di Hezbollah o milizie locali, rappresenta un successo e un motivo di orgoglio. Anche guardando poi alla reazione israeliana dopo l’abbattimento dell’F16, se è vero che Tel Aviv ha distrutto circa la metà delle batterie di difesa aerea siriana, è vero anche che ciò che si afferma e rimane è l’immagine dell’abbattimento del jet israeliano, che abbatte anche il mito dell’invincibilità dell’aviazione israeliana. Un successo, dunque, che sulla scia di quanto avvenuto già nel 2006 serve a rafforzare la narrazione iraniana della “resistenza” e il ruolo di Teheran come leader della lotta contro la potenza occupatrice di Israele. Un ruolo, questo, che fin dal 1979 serve a Teheran per accreditarsi nelle piazze arabe, altrimenti scarsamente ricettive nei confronti della retorica iraniana.

Quanto avvenuto, però, apre un’ulteriore incognita in un contesto già colmo di punti di frizione potenzialmente esplosivi: che cosa accadrà la prossima volta che Israele intercetterà in Siria un convoglio di armi iraniane diretto verso Hezbollah? Ora che il mito dell’intoccabilità di Israele è stato intaccato, è lecito attendersi che Tel Aviv in futuro prenderà maggiori precauzioni a difesa dei propri jet in missione, ma occorre comunque domandarsi fino a che punto sia in grado e disposta ad assumersi il rischio di un altro abbattimento, che renderebbe a quel punto necessaria e giustificata una rappresaglia israeliana più massiccia. Se l’ipotesi di una vera e propria guerra aperta resta al momento remota, è assai probabile che nel prossimo futuro assisteremo a ulteriori scontri tra Iran e Israele.

 

 

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