3 Nov 2017

L’agenda di Trump in Asia: temi e prospettive

Dal 5 al 12 novembre 2017 il Presidente statunitense Donald Trump visiterà cinque paesi dell’Asia. Anche se recentemente nel lessico diplomatico statunitense si fa riferimento alla regione come “Indo-Pacifico” anziché “Asia-Pacifico” per sottolineare il maggiore peso che l’attuale amministrazione dà ai rapporti con l’India, i cinque paesi (Giappone, Corea del Sud, Repubblica Popolare Cinese, Vietnam […]

Dal 5 al 12 novembre 2017 il Presidente statunitense Donald Trump visiterà cinque paesi dell’Asia. Anche se recentemente nel lessico diplomatico statunitense si fa riferimento alla regione come “Indo-Pacifico” anziché “Asia-Pacifico” per sottolineare il maggiore peso che l’attuale amministrazione dà ai rapporti con l’India, i cinque paesi (Giappone, Corea del Sud, Repubblica Popolare Cinese, Vietnam e Filippine) sono tutti in Asia orientale. La visita comprende anche la partecipazione ai festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario dell’Asean (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) e al Forum dei capi di governo dell’Apec (Cooperazione economica dell’Asia-Pacifico), ma l’enfasi sarà sui rapporti bilaterali, visto che il Presidente non ha una grande opinione delle relazioni ed instituzioni multilaterali.

I temi della visita saranno fondamentalmente tre: l’impegno degli Stati Uniti verso i paesi della regione, la sicurezza in Asia orientale, e gli squilibri commerciali con gli Stati Uniti. Largamente assente sarà invece l’enfasi sulla protezione dei diritti umani. Ma le prospettive e le chiavi di lettura sono assai diverse negli Stati Uniti e nei paesi che il presidente statunitense visiterà.

 

L’impegno verso l’Asia

L’amministrazione Obama aveva dichiarato una svolta verso l’Asia in politica estera e sul fronte della sicurezza aveva tradotto in pratica questo concetto con una vigile attenzione verso gli sviluppi nel Mar Cinese meridionale. Sul fronte del commercio internazionale, aveva promosso la  conclusione di un accordo di libero scambio con la Corea del Sud ed estese negoziazioni per un accordo commerciale di ultima generazione (la Trans-Pacific Partnership o TPP). L’amministrazione Trump, richiedendo ad alleati europei ed asiatici un maggiore contributo ai costi della presenza militare americana e mettendo in discussione gli accordi commerciali già raggiunti ha sollevato forti dubbi su quanto gli Stati Uniti siano disposti al coinvolgimento estero, tranne che per difendere i propri interessi.

Il tema è particolarmente sentito dai paesi di medie dimensioni dell’Asean (Vietnam e Filippine) che hanno assistito ad una crescente assertività marittima cinese, alla quale non sono in grado di rispondere da soli in maniera adeguata. Data la forte affinità caratteriale di Trump verso leader “forti” (Xi Jinping in Cina, Duterte nelle Filippine, per restare nella regione) i difensori dei diritti umani sentono anche la mancanza degli Stati Uniti, che erano sempre stati vocali sostenitori di tali diritti nei loro dialoghi con i governi della regione.

La mancanza di una chiara strategia statunitense verso la regione rafforza ulteriormente la leadership cinese in Asia. L’iniziativa “One belt one road” per migliorare la connessione infrastrutturale tra i paesi e il finanziamento di numerosi progetti di sviluppo hanno finora combinato la carota degli investimenti finanziati a basso costo con il bastone del potenziamento e modernizzazione militare. La probabile mancanza di chiari messaggi sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella regione potrebbe ulteriormente rafforzare questo avvicendamento nella leadership regionale. I due discorsi che Trump terrà al parlamento coreano il 7 novembre e al Forum APEC di Da Nang il 10 novembre saranno una cartina di tornasole sulla capacità di questa amministrazione di formulare una sua visione in proposito.

 

La sicurezza e l’impegno militare

Il tema principale in questo ambito sono ovviamente le ambizioni nucleari nordcoreane. L’attuale amministrazione ha puntato (consciamente o inconsciamente) a una strategia di disorientamento attraverso comportamenti incoerenti e apparentemente mal coordinati internamente: i negoziati diretti promossi dal ministro degli afffari esteri Tillerson e le bellicose smentite dello stesso Trump. Le pressioni sulla Cina hanno dato qualche risultato, come le sanzioni da questa applicate dopo l’ultimo test balistico, ma non hanno alterato il fondamentale interesse che la Cina ha nel mantenere uno stato cuscinetto fortemente armato tra i suoi confini e la Corea del Sud, militarmente allineata con l’occidente.

Dalle sue visite in Giappone, Corea del Sud e Cina Trump si aspetta di rafforzare l’impegno dei paesi della regione a mettere alle strette il regime nordcoreano. L’accordo sarà senz’altro più facile con il primo ministro giapponese Abe, che punta ad incrementare la capacità militare del proprio paese. Le discussioni saranno più articolate in Corea del Sud, dove la possibilità di proteste pubbliche contro la visita è maggiore. Mentre il Presidente Moon Jae In deve e vuole continuare a contare sullo scudo militare americano, è molto più aperto a negoziazioni sul tema, come la recente dichiarazione che non verranno installati ulteriori missili THAAD ha dimostrato. Moon cercherà al tempo stesso di evitare ulteriori aumenti del contributo sudcoreano alle spese militari (la Corea del Sud spende al momento circa 830 milioni di dollari all’anno, pari a circa la metà del costo dei 28.000 militari statunitensi presenti nel paese). Moon vorrà anche promuovere il concetto che il controllo congiunto delle truppe americane e coreane passi col tempo dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, una promessa elettorale che vorrebbe realizzare prima della fine del suo mandato nel 2022. Xi Jinping cercherà invece di minimizzare l’ulteriore ruolo che Trump vorrebbe che la Cina giocasse, dirottando la conversazione su modeste concessioni in termini di commercio.

Il secondo tema, l’espansione militare cinese nel Mar Cinese meridionale, sta particolarmente a cuore di Filippine e Vietnam, che rivendicano la sovranità su alcuni degli atolli corallini occupati e trasformati dalla Cina in isole paramilitari complete di piste di atterraggio. Dopo un inizio in sordina, l’amministrazione Trump ha attivamente pattugliato le acque della regione, inviando quattro missioni per la “libertà di navigazione” negli ultimi cinque mesi, e fornendo piccoli vascelli alla guardia costiera vietnamita. Sarà in particolare il Vietnam a cercare di consolidare accordi militari bilaterali con gli Stati Uniti nel corso della visita di Trump. Nelle Filippine, un argomento di conversazione sarà invece la risposta al potenziale terrorismo islamico, terreno della cruenta battaglia a Marawi tra governo e forze ribelli negli ultimi mesi.

 

Il deficit commerciale

Come discusso negli altri approfondimenti, il ritiro dalla TPP, le bellicose dichiarazioni contro l’accordo di libero scambio con la Corea del Sud, e la recente dichiarazione che la Cina non è una economia di mercato che non ha fatto abbastanza per riequilibrare il deficit commerciale americano potrebbero fornire altrettante occasioni di polemica o dissenso con praticamente tutti i paesi oggetto della visita. Trump ha dichiarato in numerose occasioni che non è soddisfatto del continuo disavanzo commerciale e solleverà questo tema negli incontri bilaterali. Il risultato saranno probabilmente modeste concessioni come l’acquisto di aerei o la conclusione di accordi per maggiori investimenti negli Stati Uniti da parte dei partner asiatici. In generale, c’è da aspettarsi che tutti i paesi cercheranno di resistere a ulteriori pressioni per contenere le esportazioni verso gli Stati Uniti, che hanno costituito per tutti i paesi della regione una delle principali leve di progresso economico.

 

I diritti umani

La predilezione di Trump per leader “forti” e decisi, e lo scarso rispetto per i diritti umani dimostrato domesticamente fanno prevedere che l’argomento non verrà discusso in Cina e Vietnam, come normalmente avveniva in passato, e anche gli abusi della violenta lotta al narcotraffico condotta dal Presidente filippino Duterte passeranno sotto silenzio. La prevalenza degli interessi economici e di sicurezza rispetto ai valori di libertà e dignità umana articolata da Tillerson nel discorso di maggio 2017 troverà probabilmente una ulteriore conferma nel corso di questo viaggio. Saranno i silenzi, invece delle parole, ad avvalorare questa interpretazione.

 

Una importante dimensione: la politica interna

Ciascuno dei leader che incontreranno Trump è ovviamente condizionato da considerazioni di politica interna. Reduci dal successo al Congresso del partito comunista e dalle recenti elezioni, Xi Jinping e Shinzo Abe sono in condizioni di relativa forza a casa loro e hanno quindi la maggiore libertà sia di fare concessioni che di mantenere una linea più intransigente. Duterte in passato ha dimostrato di non avere peli sulla lingua nel riguardo degli Stati Uniti e del loro presidente, ma beneficerebbe a livello di immagine da una intesa a livello personale con Trump. Vietnam e Corea del Sud, la cui leadership è cambiata più di recente, sono più suscettibili a promesse di aiuto militare.

Chi forse ha maggiore bisogno di una distrazione dai problemi della politica interna è però probabilmente lo stesso Trump. Con i sondaggi di popolarità in costante declino, un partito repubblicano diviso e poco produttivo in sede legislativa a quasi un anno dalla sua elezione, una difficile riforma fiscale che lo attenderà al varco al suo ritorno, e membri della sua campagna elettorale accusati di collusione con la Russia, la prospettiva di un cambiamento d’aria a favore di paesi più rispettosi dell’etichetta diplomatica e poco inclini alle sorprese può sembrare decisamente più rilassante, ed offrire opportunità di giocare il ruolo di difensore degli interessi americani nei riguardi dei suoi elettori. A patto di non rovinare tutto con qualche tweet poco opportuno.

 

Alessandro Pio, ISPI Senior Advisor

 

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