20 Feb 2018

Le Olimpiadi invernali viste dalla Cina

Nelle Olimpiadi invernali di Pyeongchang in Corea del Sud, i riflettori sono tutti puntati sui principali attori regionali coinvolti: Corea del Nord, Giappone, Stati Uniti, Corea del Sud e, ovviamente, Cina. L’attenzione sull’evento è aumentata significativamente soprattutto a causa delle tensioni regionali scaturite dalle continue provocazioni nordcoreane, delle quali l’ultima è avvenuta il 29 novembre […]

Nelle Olimpiadi invernali di Pyeongchang in Corea del Sud, i riflettori sono tutti puntati sui principali attori regionali coinvolti: Corea del Nord, Giappone, Stati Uniti, Corea del Sud e, ovviamente, Cina. L’attenzione sull’evento è aumentata significativamente soprattutto a causa delle tensioni regionali scaturite dalle continue provocazioni nordcoreane, delle quali l’ultima è avvenuta il 29 novembre dell’anno scorso con il lancio del potente missile balistico intercontinentale Hwasong-15/KN-22.

Per comprendere cosa rappresentino davvero queste olimpiadi per la stabilità regionale è opportuno osservare la prospettiva cinese al riguardo. La centralità della Cina in relazione a questi giochi non può essere sottovaluta per almeno due ragioni: da un lato, va ricordato che Pechino ha ospitato l’edizione delle olimpiadi estive del 2008, attraverso le quali ha avviato un profondo processo di trasformazione istituzionale (in piena era Hu Jintao), ponendo anche le basi del proprio soft power. La seconda ragione riguarda l’edizione delle Olimpiadi invernali del 2022 che si terranno nuovamente a Pechino, attraverso la quale, com’è stato ribadito più volte dai media cinesi, la Cina aumenterà il proprio minzude zihaogan (民族的自豪感), ossia lo spirito nazionale. Ciò dimostra, inevitabilmente, come la Cina da un lato e l’Asia Orientale dall’altro stiano assumendo un ruolo sempre più centrale nella politica internazionale, sia in termini di hard che di soft power.   

La Cina ha più volte ribadito l’importanza di questa edizione delle Olimpiadi invernali nel promuovere la stabilità regionale e un rafforzamento del dialogo tra le due Coree, senza che ciò debba necessariamente tradursi in un’unificazione della penisola. Una delle misure diplomatiche cinesi, più volte ribadita, anche e soprattutto in relazione allo spirito distensivo dei giochi olimpici, è stata quella della doppia (o reciproca) sospensione shuang zanting (双暂停), ovvero delle esercitazioni militari congiunte tra Corea del Sud e Stati Uniti da un lato e sospensione dei test nucleari nordcoreani dall’altro; condizione, quest’ultima, che per la Cina non si traduce minimamente nell’idea di una Corea del Nord denuclearizzata, come invece vorrebbero gli Stati Uniti.

Pechino sembra essere abbastanza convinta del fatto che la doppia sospensione sia l’unica strada percorribile, e che gli altri Stati stiano dimostrando progressivamente la volontà di applicare questa dinamica diplomatica, anche se i rispettivi governi di Washington e Seul hanno già fatto sapere che riprenderanno le esercitazioni militari subito dopo la conclusione dei giochi. Tra l’altro, i recenti sviluppi all’interno dell’establishment di Washington, come la mancata nomina di Victor Cha in qualità di ambasciatore a Seul e volontà più volte ribadita dagli Stati Uniti di negoziare con la Corea del Nord solo se avrà smantellato il proprio arsenale nucleare, mettono in evidenza l’impossibilità di realizzare, nei fatti, la doppia sospensione.

Inoltre, in coincidenza con le Olimpiadi, è emerso ancora più chiaramente quanto sia delicato il rapporto tra Cina e Corea del Sud. Seul ha infatti da poco completato l’installazione del THAAD, il sistema di difesa missilistico finanziato dagli Stati Uniti che, se da un lato aumenta la sicurezza della Corea del Sud contro possibili attacchi missilistici nordcoreani, dall’altro, il potenziale tecnologico del radar AN/TPY-2 diminuisce la sicurezza di Pechino, poiché il dispositivo tecnologico sarebbe in grado di studiare la traiettoria e le caratteristiche tecniche dei missili cinesi posizionati in aree non direttamente collegate alla penisola coreana.

Seul ha cercato, nelle settimane precedenti ai giochi, di incoraggiare la distensione con Pechino garantendo ai cinesi accessi in Corea del Sud senza bisogno del visto, almeno per il periodo compreso da dicembre 2017 a marzo 2018. Ma, allo stato attuale, la politica implementata non sembra aver aumentato in maniera significativa il numero di turisti cinesi.  

L’importanza che Pechino attribuisce alla doppia sospensione fa emergere il vero dilemma che attraversa la politica estera cinese nei confronti della crisi nordcoreana. Pechino, infatti, cerca da un lato di allinearsi alle decisioni prese in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con continui richiami al valore delle sanzioni, mentre dall’altro vuole valorizzare l’indipendenza e la dignità politica della Corea del Nord, sia per ragioni storiche che per ragioni dettate dalla pura logica della realpolitik.

Questa apparente contraddizione – di cui una misura ‘equidistante’ come la doppia sospensione è sintomatica – è il frutto del quadro geopolitico all’interno del quale Pechino si trova ad operare. Da un lato, la Corea del Nord non è più percepita dalla Cina come un alleato fondamentale nella contrapposizione globale tra paesi comunisti e paesi imperialisti, come succedeva ai tempi della guerra fredda. Infatti, è opportuno ricordare come tra i due leader politici, Xi Jinping e Kim Jong-un, non sia mai avvenuto un incontro formale. Ciò a causa di due fattori principali: la Corea del Nord non ha seguito nel corso degli anni le ricette di riforma economica caldeggiate da Pechino e ha sempre messo al centro della propria vita istituzionale la famiglia Kim, piuttosto che i valori del partito, come succede invece al di là del fiume Yalu. Il fatto stesso che la Corea del Nord rappresenti a tutti gli effetti una monarchia comunista non attira le simpatie di Pechino, che non potrebbe mai concepire la stessa forma istituzionale entro i propri confini nazionali.

Ma allo stesso tempo la Cina è particolarmente preoccupata per le sorti del “Regno Eremita”, poiché una sua eventuale disfatta o sgretolamento creerebbe due problemi particolarmente rilevanti persino per uno Stato potente come la Cina. Da un lato, un eventuale collasso istituzionale di Pyongyang aprirebbe la strada ad un enorme flusso di rifugiati nordcoreani che occuperebbero gran parte della regione della Manciuria, con conseguenze sociali devastanti. Sull’altro versante – e qui risiede il problema più rilevante – la possibile scomparsa del regime nordcoreano faciliterebbe l’occupazione e la successiva annessione dell’intera penisola da parte della Corea del Sud, con la conseguenza diretta di trovarsi circa trentamila truppe americane (già presenti presso la zona demilitarizzata) presso i propri confini nazionali. Tale situazione che rievocherebbe gli spettri della Guerra di Corea (1950-1953) quando l’attraversamento del fiume Yalu da parte del Generale americano McArthur scatenò l’intervento cinese e l’avvio del confronto militare sino-americano.

Alla luce di queste osservazione, diventano più chiare le ragioni del perché Pechino desideri che la penisola coreana abbracci la logica dei colloqui diplomatici, preferibilmente intrapresi attraverso la logica della doppia sospensione. L’unificazione, seppur non direttamente osteggiata dalla leadership di Pechino, non rappresenta la priorità cinese, considerato l’enorme valore strategico che la Corea del Nord esercita all’interno del calcolo geopolitico regionale per gli attori coinvolti.

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