1 Mar 2018

Rivalità regionali in Yemen: solo i sauditi perdono

A dispetto delle tante bombe sganciate, l’Arabia Saudita è oggi meno influente in Yemen  di quanto lo fosse prima dell’intervento militare iniziato nel 2015. Al contrario, l’Iran, storico rivale dei sauditi, e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), ambiziosi alleati di Riyadh, hanno guadagnato notevole spazio geopolitico  nell’unica repubblica della Penisola arabica. E hanno eroso il […]

A dispetto delle tante bombe sganciate, l’Arabia Saudita è oggi meno influente in Yemen  di quanto lo fosse prima dell’intervento militare iniziato nel 2015. Al contrario, l’Iran, storico rivale dei sauditi, e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), ambiziosi alleati di Riyadh, hanno guadagnato notevole spazio geopolitico  nell’unica repubblica della Penisola arabica. E hanno eroso il tradizionale “soft and money power” dell’Arabia Saudita.

In Yemen la rivalità fra sauditi e iraniani ha aggrovigliato un conflitto interno e complesso: anno dopo anno, Teheran ha aumentato il livello d’interferenza politico-militare nel paese a sostegno degli houthi, gli insorti sciiti del movimento-milizia settentrionale di Ansarullah. Di fatto, le accuse lanciate da Riyadh sin dalla prima ora, “l’Iran arma gli houthi”, si sono poi trasformate in una beffarda realtà.

L’ultimo Rapporto del Panel degli esperti delle Nazioni Unite scrive che l’Iran non ha preso le misure necessarie per prevenire la fornitura/vendita diretta o indiretta di armi agli houthi, in violazione così delle relative risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu. Gli esperti hanno identificato, in Yemen e in Arabia Saudita, resti di missili, materiale militare nonché droni, di origine iraniana. Armi, si legge nel Rapporto, entrate in Yemen dopo l’imposizione dell’embargo.[1]

L’Arabia Saudita è intervenuta militarmente in Yemen per liberare i territori occupati dagli insorti, tra cui la capitale Sana’a, re-insediando il governo ad interim di Abd Rabu Mansur Hadi. Riyadh ha utilizzato tutti gli strumenti possibili: guerra e cooptazione politico-militare dei principali attori tribali anti-houthi. I sauditi non hanno raggiunto i loro obiettivi: fra i grandi centri urbani, solo Aden e Al-Mokha sono state liberate dai ribelli, ma a guidare le operazioni di terra sono state le Forze Speciali della Guardia Presidenziale emiratina. Il confine saudita-yemenita è sempre teatro di guerriglia.

In tale quadro, l’Iran è diventato sponsor degli houthi. Di certo, Ansarullah non è un’invenzione iraniana, né può essere considerato un attore proxy come Hezbollah o le milizie sciite irachene. Negli anni, gli houthi si sono ideologicamente e operativamente avvicinati al network transnazionale sciita che fa capo all’Iran: tuttavia, il movimento di Sa’da ha fin qui perseguito un’agenda politica interna (prima locale, poi nazionale) e non viene “telecomandato” dal generale Qassem Suleimani, il capo degli Al-Quds della Repubblica Islamica.

Per i sauditi, la guerra yemenita è un’ingente voce di spesa; per Teheran, il sostegno agli houthi è stato, finora, a basso costo. L’obiettivo degli iraniani in Yemen è duplice: mettere sotto pressione il confine saudita, appoggiando la guerriglia houthi, e logorare Riyadh, tenendo i sauditi militarmente e finanziariamente occupati sul fronte (quasi) interno, ovvero distanti da quel Levante arabo (Libano, Siria e Iraq) in cui sono gli iraniani a dare le carte. Non vi sono dubbi: Teheran ha centrato i suoi obiettivi di politica estera, anche qui.

In Yemen, la contrapposizione binaria fra sauditi e iraniani risente della presenza di un terzo attore regionale: gli Emirati Arabi Uniti. Sauditi ed emiratini sono certo uniti dalla volontà di contenere Teheran e Ansarullah. Tuttavia, le ambizioni geopolitiche di Abu Dhabi, qui declinate nel sostegno ai secessionisti meridionali, stanno indebolendo il fronte filo-governativo, offrendo così un vantaggio indiretto all’Iran.

Gli obiettivi degli Emirati Arabi in Yemen, perseguiti tramite impegno militare di terra, rete di patronage locale, addestramento di forze yemenite e aiuto alla ricostruzione nel sud, erano tre: indebolimento della Fratellanza Musulmana (qui rappresentata dal partito Islah, che raccoglie però anche salafiti), contrasto ad al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) e creazione di un’area di influenza geostrategica  nel sud dello Yemen. Gli emiratini hanno raggiunto tutti e tre gli obiettivi: Islah è politicamente e militarmente nell’angolo, AQAP non controlla più territori e città strategiche, il sud costiero dello Yemen (da Aden all’Hadhramaut meridionale, fino all’isola di Socotra) li vede protagonisti, rafforzandone la proiezione su Corno d’Africa e Oceano Indiano.

A questo punto, le strategie parallele di Arabia Saudita ed Emirati Arabi in Yemen non possono più coesistere, come dimostrato dalle recenti violenze ad Aden tra forze filo-saudite e filo-emiratine (28-30 gennaio 2018). Il pro-separatista Consiglio di Transizione del Sud (STC), appoggiato da Abu Dhabi, è diventato troppo forte, riuscendo a consolidare le proprie posizioni prima che la Coalizione araba imponesse una fragile tregua locale (in vigore dal 31 gennaio 2018).

Riyadh esce finora perdente anche nella gara per il controllo delle principali reti viarie e infrastrutturali dello Yemen, strategiche non solo per le sorti della guerra, ma anche per il post-conflict. Gli houthi (quindi l’attore vicino all’Iran) continuano a occupare la capitale Sana’a e il porto di Hodeida sul Mar Rosso; gli emiratini esercitano grande influenza sui principali centri urbani e portuali della costa sud, Al-Mokha, Aden, Balhaf (terminal gasifero) e Mukalla. Al contrario, l’Arabia Saudita controlla, attraverso le forze pro-Hadi, solo il piccolo porto della città di Midi, al confine con il Jizan saudita, e sta incrementando la presenza militare nella periferica regione di Mahra (controllando il porto e aeroporto di Ghayda). Questa strategia è in aperta competizione con gli emiratini, il confinante Oman e lo stesso Iran. Di fatto, le armi di fabbricazione iraniana, in parte ancora da assemblare, entrerebbero da questa regione.[2]

In Yemen, il terreno di scontro indiretto fra sauditi e iraniani rimane il confine tra il regno wahhabita e le terre d’origine di Ansarullah. La costante minaccia missilistica nei confronti di Riyadh, colpita il 4 dicembre 2017, è solo l’aspetto più evidente – e pericoloso – del problema. Dal 2015, il livello di insicurezza lungo il confine saudita-yemenita è fortemente aumentato: molti villaggi dell’Arabia Saudita sono stati sfollati e Najran, la città frontaliera più grande, è stata più volte colpita dagli houthi.

Ristabilire la sicurezza frontaliera è al momento impossibile, fatto che acutizzerà le tensioni fra Arabia Saudita e Iran. Tra l’altro, il conflitto dello Yemen ha frammentato anche la Guardia di Frontiera (haras al-hudud), istituzione militare per il contrasto del contrabbando e dell’immigrazione illegale, composta da figure tribali locali, sauditi e yemeniti. La Guardia di Frontiera è dispiegata dal 2003 lungo il confine internazionale, stabilito prima dal Trattato di Ta’if (1934) e poi demarcato dal Trattato di Jedda (2000). Tuttavia, l’avanzata territoriale degli houthi, iniziata nel 2004 con la prima delle sei battaglie di Sa’da, ha alterato gli equilibri tribali locali.

Infatti, solo una parte delle tribù yemenite di confine è rimasta fedele al governo centrale (e ha dovuto riparare in Arabia Saudita), mentre gli altri clan hanno appoggiato l’autogoverno degli houthi. Questo caso sintetizza il grande paradosso di Ansarullah e, sullo sfondo, del suo sponsor iraniano, cioè riuscire a vincere il consenso (o la neutralità), in chiave anti-governativa, di territori del profondo nord tribale dello Yemen, nonostante gli houthi abbiano sempre rigettato il tribalismo, poiché la loro leadership è composta dai sâda (sing. sayyid), un’élite religiosa – e non tribale – sciita zaidita di discendenza hashemita.

 

Per tante e complesse ragioni, l’Arabia Saudita esce perdente, a oggi, dalla competizione regionale “a tre” per il controllo dello Yemen, con scarse possibilità di recupero. Anche perché il rivale Iran, a lungo evocato nei discorsi settari di Riyadh a giustificazione dell’intervento militare del 2015, è diventato, davvero, un attore influente nella partita yemenita. 

 
1. United Nations Security Council, Panel of Experts on Yemen, 26 January 2018, S/2018/68.
2. E. Ardemagni, “Emiratis, Omanis, Saudis: the rising competition for Yemen’s al-Mahra”, The London School of Economics and Political Science, LSE Middle East Centre Blog, 28 Dicembre 2017; United Nations Security Council, op.cit.
 

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