Migrantes nella storia della Chiesa in Italia

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In occasione dei 30 anni della Fondazione Migrantes e degli oltre 50 dell’UCEI (Ufficio Centrale Emigrazione Italiana) è stata presentata a Roma, l’opera in cinque volumi sulla storia della pastorale migratoria UCEI/Migrantes, intitolata ‘Impronte e scie. 50 anni di Migrantes e migranti’ di Simone Varisco, storico, saggista e ricercatore, autore del libro ‘La follia del partire, la follia del restare. Il disagio mentale nell’emigrazione italiana in Australia alla fine dell’Ottocento’.

I 5 volumi seguono la scansione dei settori pastorali tradizionalmente di competenza dell’UCEI/Migrantes: emigrazione italiana all’estero, rom e sinti, circensi e gente dello spettacolo viaggiante, immigrazione straniera e profughi in Italia. Nell’introduzione il presidente della ‘Fondazione Migrantes’, mons. Guerino Di Tora, ha sottolineato che il fenomeno migratorio è complesso:

“Dopo un passato di grande emigrazione, siamo oggi portati a pensare il nostro Paese esclusivamente come ad una meta di immigrazione straniera, in parte tratti in inganno dagli sbarchi che si susseguono per i motivi più vari. La realtà ci dice, invece, che in Italia sono sempre più numerosi coloro che partono per l’estero: studenti e lavoratori alla ricerca di una sistemazione migliore per il proprio futuro, ma sempre più spesso anche intere famiglie e pensionati, senza considerare i molti ‘professionisti della migrazione’, rom e genti del circo e dello spettacolo viaggiante”.

Per mons. Di Tora dietro ai numeri, alle analisi e agli approfondimenti “non deve sfuggire che ogni migrante, qualunque sia la sua storia personale, è un uomo, una donna o un bambino che porta con sé speranze e attese che lo collocano in una dimensione umana e spirituale che va ben oltre il dato statistico o di categoria sociale ed economica. Gli immigrati non possono essere qualificati solo come lavoratori: sono mariti e mogli, padri e madri di famiglia, figli e figlie”.

Presentando il volume il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha sottolineato l’importanza di denunciare “con chiarezza la contraddizione di certe forme di religiosità o di richiami a simboli religiosi che pretendono di convivere con il rifiuto dell’accoglienza di chi è costretto a mettersi in cammino. Oggi va vissuta la vocazione a essere fontana del villaggio per irrigare solchi di terra resi aridi dall’egoismo che pretende di convivere con una spessa e sospetta patina di religiosità”.

Per mons. Galantino “certi politici oggi ci hanno costretti a pensare alle migrazioni come ad un tema che riguarda il Mediterraneo. Ma non è così. E molte volte noi, nella nostra azione, ci siamo fatti condizionare da questo. La situazione che stiamo vivendo domanda una attenzione costante, rivolta a tutto ciò che riguarda la mobilità e che è cambiata rispetto al passato: i flussi, i popoli interessati, i percorsi sempre nuovi che si aprono, le sensibilità che crescono o purtroppo scompaiono”.

Mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e già direttore generale di Fondazione Migrantes ha richiamato le ‘quattro passioni di Migrantes’: “La prima è quella per la conoscenza dei migranti. Per questo, l’impegno di Migrantes perché l’azione pastorale della Chiesa fosse aggiornata sulle migrazioni e sulla mobilità umana…

L’immagine di una Chiesa in viaggio al fianco dei migranti è l’ideale di una prima stagione pastorale inaugurata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dal magistero sociale di Leone XIII e dell’esperienza di ‘illustri pionieri della pastorale migratoria’: i vescovi Giovanni Battista Scalabrini e Geremia Bonomelli. Anche al loro impegno si deve il passaggio da una pastorale migratoria di transitorietà ad una permanente, con la progressiva strutturazione delle missioni linguistiche per gli italiani emigrati all’estero”.

Presentando il suo lavoro ‘Impronte e scie. 50 anni di Migrantes e migranti’ Simone Varisco ha sottolineato lo scopo della ricerca: “Vorrei che fosse chiaro lo spirito che anima questa ricerca. Non una rievocazione storica fine a sé stessa, che nel migliore dei casi risulterebbe autocelebrativa o nostalgica e nel peggiore perfettamente inutile, bensì una memoria di esperienze, idee ed elaborazioni da mettere al servizio del presente”.

Quindi nel primo volume si analizza la vita dei 50 anni dalla creazione dell’Ufficio centrale per l’emigrazione italiana e del suo Bollettino (1965): “Un lungo cammino attraverso cinquant’anni di pastorale, che per la prima volta si estende dai documenti d’archivio ai tweet di papa Francesco, attingendo ampiamente ai documenti del magistero pontificio e della Chiesa in Italia.

Ciò allo scopo di evidenziare il carattere di coralità che per tradizione appartiene non soltanto all’operato dell’UCEI prima e della Fondazione Migrantes poi, ma anche all’approccio dell’intera Chiesa alle diverse forme della mobilità umana”. Nel secondo volume la pastorale migratoria: il libro ripercorre l’epopea drammatica dell’emigrazione italiana attraverso le testimonianze di alcuni suoi interpreti privilegiati, i missionari d’emigrazione al servizio delle comunità italiane all’estero, senza dimenticare il prezioso ruolo svolto dalle religiose e dai laici.

Dall’Etiopia alla Danimarca, fino alle fabbriche e ai cantieri che impiegano e consumano gli italiani in terra straniera, il volume unisce storie di vita, anche pastorale, e curiosi episodi sfuggiti alle grandi maglie della storia, ma non a quelle più fitte delle cronache.

Nei volumi 3 e 4 il volume prende in considerazione l’emigrazione dei Rom, dei Sinti e dello spettacolo viaggiante. Nel quinto volume si esamina la migrazione in Italia, da cui ne emerge un Paese a doppia identità, meta d’immigrazione eppure ancora coinvolta da importanti dinamiche emigratorie. La mobilità umana si conferma un ‘segno dei tempi’ di straordinaria attualità, alla luce del quale leggere e rileggere la nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa.

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