Buonismo-cattivismo. Buonisti-cattivisti. Dopo la sortita di Antonio Polito che dalle colonne del Corriere della Sera ha lanciato nel dibattito pubblico il termine «cattivista» associandolo al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, è difficile sottrarsi alla tentazione di scavare in questa categoria politica emergente. Che di ambito politico si tratti, lo si deduce dal linguaggio quotidiano. Nessuno di noi darebbe del cattivista all’inquilino del piano di sopra che perseguita tutto il condominio con le sue minacce reiterate di adire le vie legali per la qualunque. O apostroferebbe così quel collega che fa del pettegolezzo un’arma impropria per regolare tutti i conti personali. O la zia che non ha mai una parola buona per nessuno e vede il marcio dappertutto. L’elenco dei presunti cattivi in servizio permanente effettivo è infinito, eppure facciamo una fatica immensa a definirli tali.

Magari preferiamo utilizzare espressioni più forti e persino volgari, ma cattivi no. La ragione di questa cautela sta, con ogni probabilità, nel fatto che evocare il buono e il cattivo, così come il bene e il male, ci riporta a fare i conti con categorie morali di cui non vogliamo neppure sentir parlare. Perché il giudizio morale è stato pressoché eliminato dal dibattito pubblico, complice anche quel benedetto «chi sono io per giudicare» che ha finito per confondere il giudizio avventato sull’altro con il sano e doveroso discernimento fra il bene e il male. Che non va confuso neppure con l’onesto e il disonesto, con l’utile e l’inutile, con l’opportuno e l’inopportuno.
A parte la consapevolezza che dopo l’ingresso nella storia contemporanea del Male assoluto costituito dalla Shoah, facciamo fatica a leggere la cattiveria del quotidiano che pure avvelena i rapporti sociali, personali e comunitari. Un occhio indulgente ci spinge a declassare la cattiveria in altre categorie: dalla maleducazione all’arroganza, dalla sfrontatezza alla invasività. Eppure, il male continua a operare nella storia come nella vita, ma noi lo esorcizziamo. E invece dovremmo imparare a farci i conti, innanzitutto riconoscendolo.

Ma tutto questo cosa c’entra con la politica? C’entra, eccome. Cattivismo altro non è che l’inverso del buonismo. Termine entrato di filato nel dibattito pubblico come strumento di delegittimazione di intere classi dirigenti nell’epoca della globalizzazione che ha visto protagonista una sinistra mondialista, spesso innamorata a tal punto di se stessa da dimenticare la propria missione storica, ovvero la rappresentanza delle classi disagiate e marginali. Campioni di questa sinistra internazionale ormai delegittimata: Obama e Blair, Prodi e Renzi.
Sul fronte opposto, con lo stesso schema dichiaratamente demolitorio e delegittimante, oggi vengono collocati Trump, Orban e lo stesso Salvini. Insomma, potremmo cavarcela dicendo che siamo di fronte ad una nuova categorizzazione dell’eterno gioco dell’opposto. Ma questa non è un’operazione a costo zero per persone, comunità e popoli.

E qui ritorna la nostra capacità attutita di indagare la realtà. E di assumerci anche la responsabilità, come cittadini ed elettori, di discernere il bene e il male. Accontentandoci di categorie alla fine innocue e inoffensive come buonismo e cattivismo. Discernere tra bene e male vuol dire saper riconoscere il buono, il bello e il vero nell’agire umano, così come il cattivo, il brutto e il falso. Impresa difficile? Sarà tempo di farlo per non continuare a vivere in un eterno compromesso che tutto logora, attenua, ottunde e giustifica.
Magari anche dichiarando, non per convenienza politica, ciò che noi consideriamo il bene e il male. E assumendoci la responsabilità di indicare la persona buona e quella cattiva per le scelte che oggi fa. Anche se si tratta del nostro leader, della nostra parte, della nostra gente.

Un esempio che, nella sua radicalità, vale per tutti: se la pedofilia e la corruzione sono un male, chiunque ne sia protagonista è un cattivo. E deve risponderne alla giustizia umana, e per chi crede, anche a quella divina. Una domanda finale: se qualcuno mette in atto volontariamente gesti che provocano sofferenza negli altri è un cattivista o un cattivo? Troppo facile, per i politici, derubricare le proprie scelte con la categoria del buonismo e del cattivismo. Entrambi stanno alla vita comune come una forma di conflitto regolato e perciò attutito. Diremmo quasi costituzionalizzato e dunque sopportabile. Perciò ci siamo accontentati ieri del politicamente corretto e oggi assistiamo alla rivincita del politicamente scorretto. Forse è sempre meglio che confrontarsi con il bene e il male in agguato nella storia e nella vita. La sensazione, però, è che non potremo rinviare questo giudizio all’infinito.

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