BRUNO VESPA

Matteo Renzi è il nuovo Cinghialone? Così fu definito Bettino Craxi fin da quando l’assalto politico precedette quello giudiziario. A Renzi,per fortuna, il secondo sarà risparmiato per evidente differenza ambientale. Ma la violenza del primo rinfresca brutte memorie. Tonino Tatò, il principale collaboratore di Berlinguer, nelle lettere al capo definiva Craxi ‘un avventuriero fascistoide’. Non credo che Massimo D’Alema farebbe molta fatica a usare una frase simile per il suo nemico numero uno. D’altra parte, la definizione fu usata dall’ “Unità” contro Renzi durante le primarie del 2012. Ma la battaglia, che si farà più violenta dopo le elezioni siciliane, troverà il Cinghialone più protetto e agguerrito dell’altro.

Protetto dal milione e 800mila voti delle primarie che l’hanno reinsediato al posto di segretario del Pd. Agguerrito perché a Renzi non mancano armi politiche efficaci. I quattro più importanti esponenti renziani (Boschi, Lotti, Delrio e Martina) hanno disertato ieri il Consiglio dei ministri che ha proposto la conferma di Ignazio Visco. Nonostante nelle stesse ore Renzi mi abbia detto che il rapporto con Gentiloni non è incrinato e che i due faranno ancora tante battaglie insieme (ma gli ha ricordato anche quanto il presidente del Consiglio gli sia debitore), non c’è dubbio che quello che fu sprezzantemente definito “il governo fotocopia” del precedente, da questo momento sarà soltanto un “governo amico” del Pd. E dovrà fare i conti con tutte le esigenze elettorali del Pd, spesso incompatibili (come lo stop alla crescita dell’età pensionabile) con la politica finanziaria di palazzo Chigi.

Da due giorni i cacciatori hanno la guida autorevole del presidente del Senato Pietro Grasso. Galateo istituzionale vorrebbe (ma non è certo obbligatorio) che i presidenti delle Camere lasciassero i rispettivi gruppi parlamentari d’origine nel momento stesso in cui assumono la carica. Per dare un segno evidente della terzietà richiesta dalla funzione. Grasso ha aspettato quattro anni e mezzo per farlo e lo ha fatto usando espressioni legittime, ma inconsuete per un presidente del Senato in carica. “La fiducia sulla legge elettorale è stata una violenza che ho voluto rappresentare”, ha detto spiegando le dimissioni. E’ vero che approvare al Senato, senza poter apportare modifiche, una legge blindata dalla Camera è frustrante. Ma se si ragiona senza ipocrisie, si deve riconoscere che ogni virgola in più o in meno avrebbe snaturato la legge compromettendone l’approvazione. Non sta a noi stabilire se questa legge sia bella o brutta. Ma per la prima volta nella storia della Repubblica, dopo la legge del ‘46, il sistema elettorale è cambiato con il consenso di una parte qualificata di maggioranza e opposizione. Se il M5S non avesse fatto saltare il modello similtedesco, avremmo avuto una legge proporzionale che avrebbe penalizzato ancora di più i piccoli partiti e forse gli stessi 5 Stelle che pure l’avevano sottoscritta. Grasso sarà probabilmente la bandiera del partito di D’Alema e Bersani. Ottima scelta. La caccia è cominciata. Ma anche il Cinghialone affila le zanne….

© RIPRODUZIONE RISERVATA