In un vecchio film, Il prefetto di ferro, un capoclan si uccide in cella per non essere riuscito a mantenere l’impegno di far tornare l’acqua nel suo paese, in Sicilia. E fa un’affermazione importante: «Un mafioso vive finché ha il rispetto della gente».
Dalla Sicilia spostiamoci a Ostia, periferia di Roma. L’altro giorno Roberto Spada, esponente di una delle «famiglie» che controllano la zona, indispettito dalle domande di un giornalista ha pensato bene di spaccargli il naso con una testata e di prenderlo poi a bastonate. Il tutto davanti alla telecamera accesa. Ne è nato - e non poteva essere diversamente - un putiferio. Tanto per cominciare, l’aggressore dalla testata facile è stato fermato e oggi il Gip dovrà decidere se scarcerarlo o tenerlo ancora in custodia cautelare. Su Ostia si sono accesi molti fari. È aumentata la presenza delle forze dell’ordine e il ministro Minniti ha promesso seggi blindati per il turno di ballottaggio di domenica 19 novembre.

Ieri mattina si è svolto un sit-in dei giornalisti e varie manifestazioni sono annunciate per i prossimi giorni. In altri tempi i «mammasantissima» avrebbero condannato il colpo di testa (in tutti i sensi) di Roberto Spada. Prima regola, non sollevare polveroni inutili che provocano attenzioni indesiderate. Lo stesso accadde, per esempio, nell’agosto del 2015, con il funerale del capostipite dei Casamonica, altra famiglia regnante nell’area. Una sceneggiata in stile Il Padrino portò un bel po’ di problemi a chi ha bisogno dell’ombra per coprire i suoi traffici.

Questa volta, però, le cose sono andate diversamente. E se su giornali e televisioni sfilava la processione di condanne nei confronti di Spada, sui social accadeva il contrario. Già subito dopo la diffusione della notizia e del relativo filmato erano partiti i post di solidarietà e di approvazione, con il cronista e il suo operatore coperti invece da insulti. Che succede?
Succede che Spada, e per riflesso i suoi accoliti, stanno diventando degli eroi agli occhi di molte persone. Eroi del male, senza dubbio, ma pur sempre eroi. Un pericolosissimo rovesciamento etico che addirittura contraddice la stessa logica mafiosa di operare nell’ombra e nel silenzio. È l’anti-Stato che vince e un’azione selvaggia e violenta diventa per molti un atto di coraggio, tanto da essere celebrato sulla pubblica piazza di Facebook.

La deriva della comunicazione a Ostia sembra oltrepassare il segno, certo anche per l’impegno della stessa criminalità. Ma non si può negare che ci sia un salto di qualità, tipico della cosiddetta comunicazione di crisi, in cui si trasforma un evento negativo in un risultato positivo. Allora non bastano solo le inchieste, i carabinieri e i poliziotti a presidiare le strade. A Ostia c’è stata una dichiarazione di guerra allo Stato democratico compiuta con la stessa logica del terrorismo, che si compiace delle stragi e dei morti e ne manda in giro per il web le rivendicazioni. Ma per Ostia a questa strategia si è aggiunta la condivisione, il plauso, di una massa di persone. Lo scandalo non sta in un esponente del clan che dà una testata a un giornalista impiccione, lo scandalo sta nel fatto che ci siano gli applausi a quel gesto.

Nei prossimi giorni Ostia sarà teatro di diverse manifestazioni di sdegno civile cui parteciperà pure la sindaca di Roma (magari con qualche interesse elettorale). Rituale stanco eppur indispensabile di fronte a un pestaggio di quel genere. Ma quale obiettivo si raggiungerà, al di là della litania di dichiarazioni ufficiali? Per caso un’altra ondata di applausi a Spada?
Il clima in città è pesantissimo e le intimidazioni sfiorano lo stesso commissario prefettizio. Criminalità, intolleranza, razzismo, violenza sono diventati una miscela esplosiva. La testata al giornalista ne è solo una fisiologica manifestazione. Le periferie di Roma - non solo Ostia - sembrano ormai terra di nessuno. Abbandono, violenza, droga, prostituzione. Condizioni di vita pessime cui si aggiunge il male peggiore: l’affermarsi di una ideologia della sopraffazione, di un’etica del male che porta a trasformare i boss in mito. E tutto questo si traduce in consensi per forze politiche ai limiti dell’eversione, come purtroppo confermano alcuni risultati elettorali. Occorre pensare anche a strumenti nuovi di lotta. Il concorso esterno in associazione mafiosa su Facebook può valere?
Lo Stato è lento, ma la mafia sa stare al passo con i tempi. Forse bisognerebbe ripartire dalla lezione del capoclan del film: un boss vive fino a quando ha il rispetto della gente. È questo «rispetto» che deve venir meno.

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