Carmela Formicola

La messa si è tenuta, ma in tono dimesso e privato. Il Tdor (Transgender day of remembrance, il giorno del ricordo delle vittime della transfobia) è passato nel silenzio e nell’indifferenza assoluti. Alessia Nobile, la trans che aveva per il terzo anno di seguito promosso l’iniziativa nella chiesa di San Sabino, è sconsolata. «La verità è che siamo invisibili, a nessuno importa di noi. Né alle istituzioni, né alla comunità gay. Né alle donne che hanno celebrato la giornata mondiale contro la violenza e tutti ne hanno parlato. Della violenza fisica e psicologica che subiamo noi ogni giorno, non importa a nessuno».

Perché siete invisibili?
«Perché siamo scomode e la società preferisce non vederci. Non è la stessa cosa per le donne che diventano uomini. No: sono gli uomini che diventano donne a infastidire».

Eppure questa società, parliamo ad esempio anche di quella barese, ha dimostrato di aver fatto passi avanti in termini di diritti. Il gay pride, ad esempio, è diventato una festa collettiva sdoganata dalle stesse istituzioni.
«Ed è quello che mi fa più rabbia. Perché Decaro o Emiliano sentono di potersi mettere una corona di fiori colorati intorno al collo per andare a sfilare con la comunità omosessuale e poi si rifiutano di venire a una messa per le trans che muoiono di violenza o malattia o depressione o solitudine? La verità è che dichiararsi dalla parte degli omosessuali fa propaganda».

Crede dunque che non siamo la società inclusiva, accogliente, tollerante che mostriamo di essere?
«Ma se perfino la comunità lgbt ci ignora! Io sono andata allo sportello del Comune a chiedere aiuto. Ho detto: dateci una stanza così almeno ci possiamo incontrare tra noi, possiamo parlare, farci conoscere, darci forza a vicenda».

E cosa le hanno risposto?
«E mica diamo stanze noi! E per certi versi nemmeno mi stupisco. Un gay o una lesbica non può capirlo il mondo di una trans. Viviamo vite diverse, sentimenti diversi ed esperienze diverse».

Quando parla di esperienza allude alla prostituzione, ad esempio?
«È un passaggio dal quale o prima o poi noi trans, e soprattutto noi trans donne, dobbiamo passare. Perché nessuno ci dà un lavoro normale. Altro che società inclusiva! Perché la società che di giorno non ti dà lavoro perché sei trans poi di notte viene da te per fare sesso a pagamento».

Una bella ipocrisia. Anche questa è transfobia?
«Tutto è transfobia. Ma anche quando riesci a trovarlo, poi, un lavoro normale. Io ogni estate faccio la barlady a Gallipoli. La mia datrice di lavoro mi ossessiona: non ti mettere gli orecchini pendenti, non metterti maglie attillate, non metterti il rossetto. A una donna non lo direbbe».

La messa a San Sabino dunque è andata deserta. Organizzerà altre cose?
«No, è inutile. Oggi sento di non appartenere a nulla, di essere più sola di sempre».

Rientra nel mondo delle invisibili?
«Io provo a vivere a testa alta e alla luce del sole. Ho una laurea in scienze sociali che vorrei usare. A giorni avrò un colloquio per un posto in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Ho mandato il curriculum e mi hanno chiamato. Non ho detto che sono trans».

E se dopo averla vista la mandano via?
«Sarà la conferma che in questa città non cambierà mai nulla».

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