di GIUSEPPE DIMICCOLI

Padre Saverio Paolillo è missionario comboniano al servizio della Parola di Dio e dei «più poveri tra i poveri». Barlettano di nascita opera in Brasile da oltre 30 anni. In terra carioca è affettuosamente conosciuto come Padre Xavier e per il suo lavoro, a dicembre del 2005, è stato insignito del premio «Personalità dell’anno 2005 per i Diritti Umani». Un riconoscimento che testimonia tutta la sua abnegazione e volontà di combattere contro tutto e tutti, anche la polizia locale e statale, pur di difendere i minori. Dal 2014 opera nella periferia di Santa Rita, comune dello stato della Paraíba, nel nordest del Brasile. Insieme a fratel Franceso, vive in una zona povera dove, oltre a prendersi cura di una parrocchia di oltre 30 mila persone, gestisce il Centro di Difesa dei Diritti Umani Mons. Oscar Romero e il Progetto Legal. Nel Progetto, 140 bambini e adolescenti a rischio sono assistiti tutti i giorni con alimentazione, doposcuola, attività culturali, sportive, artistiche e ricreative, e laboratori di formazione etica e alla cittadinanza. La Gazzetta ha intervistato padre Saverio - attualmente nel suo Brasile - in occasione della Giornata missionaria mondiale di domani domenica 22.

Padre Saverio, cosa vuol dire essere missionario? «La parola Vangelo significa letteralmente “Buona Notizia”. Per definizione, racconta un avvenimento bello che non può essere tenuto nascosto, ma che deve essere reso noto, conosciuto e comunicato universalmente. “È una Buona Notizia che porta in sé una gioia contagiosa perchè contiene e offre una vita nuova: quella di Cristo, il quale comunicando il Suo Spirito vivificante, diventa Via, Verità e Vita” (papa Francesco). Tutti hanno il diritto di incontrare Gesù. Anzi, il mondo ha essenzialmente bisogno del Suo Vangelo. L’umanità, per mezzo Suo, può sperimentare la tenerezza di Dio e dare alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva (Benedetto XVI)».

Ma chi è il missionario? «Il missionario non è un reclutatore di proseliti, ma il facilitatore dell´incontro tra Dio e l´uomo. È una persona qualunque che, un giorno della sua vita, è stato afferrato da Cristo, si è lasciato amare da Lui e ha lasciato tutto per seguirlo. Alla radice della sua traiettoria di vita c´è una chiamata libera e gratuita che stravolge completamente la sua vita. Dall´incontro e dalla convivenza con il Maestro nasce una gioia che egli non riesce a trattenere per se stesso. Sente il bisogno impellente di trasmetterla agli altri. Desidera ardentemente condividerla con il maggior numero di persone. Per questo esce da se stesso e entra nel mondo per essere il lievito nella storia, un raggio di luce nelle tristi vicende umane, il samaritano di chi giace sul ciglio delle impervie strade della vita, il buon pastore che cerca senza sosta chi si è smarrito per sentieri contorti e senza meta e il cirineo che prende su di sé la croce degli altri. La sua gioia è così contagiante che lui non ha bisogno di moltiplicare le parole. Comunica per attrazione, non per indottrinamento. Parla di Dio attraverso la sua testimonianza. Per il missionario annunciare il Vangelo non è semplicemente un “dovere d´ufficio”, ma, come dice l´apostolo Paolo, una necessità, un´ansia inestinguibile».

Che cosa vuol dire essere missionario in questo momento storico, con Papa Francesco? «Quando ero giovane spesso viaggiavo facendo l'autostop. Non avevo motivi particolari. C´era solo la voglia di dare al viaggio il sapore dell´avventura. Il look era convenzionale: lo zaino sulle spalle, un cartello appeso al collo con la destinazione e il pollice teso verso l´asfalto. C´era sempre qualcuno in macchina che rompeva il ghiaccio. All’epoca ero già seminarista. C´era chi faceva i complimenti per la scelta, ma c´erano anche quelli che approfittavano dell’occasione per farmi domande sul mio progetto di vita, per criticare la Chiesa o per condividere i dubbi di fede. Ma in molte occasioni l’autostop fu l’opportunità di trasmettere la mia esperienza di fede. Papa Francesco parla insistentemente di “chiesa in uscita”. “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”, afferma nell’esortazione Apostolica “La Gioia del Vangelo”. Non si tratta più di una Chiesa che aspetta dall’alto della sua “autorità morale” chi vuole imbarcare nelle sue strutture liberandone l’accesso soltanto a chi è in regola con la dottrina, le norme canoniche e i principi morali, ma di una comunità missionaria che, con semplicità, esce all’incontro della gente e aspetta sul ciglio della strada l’opportunità di salire a bordo della vita delle persone per camminare insieme».

Quanto è difficile svolgere il suo compito? «Il paradigma dominante del mondo odierno è quello della conquista. L’uomo sta diventando un predatore. Gli altri non sono più visti come fratelli, ma rivali, pericolosi concorrenti. Ognuno tende a chiudersi nel suo mondo per badare soltanto ai propri interessi. Si impone la cultura dell’indifferenza. Come disse papa Francesco a Lampedusa, stiamo perdendo la capacità di commuoverci di fronte alle sofferenze degli altri. Il Vangelo marcia controcorrente. Propone uno stile di vita diametralmente opposto a quello imposto dalla mentalità comune. Convoca alla rivoluzione della tenerezza. Addita come modello il cuore trafitto di Gesù, cioè una vita data in dono fino alle ultime conseguenze».

Perché tutti i cristiani dovrebbero essere missionari? «Nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale di quest´anno papa Francesco ci invita a mettere la missione al cuore della fede cristiana: “La Chiesa è missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire”.  Ogni battezzato è interpellato ad essere un annunciatore del Vangelo. Se vogliamo un mondo più umano, non abbiamo alternative: solo il Vangelo è in grado offrirci una vita bella e garantirci la felicità autentica».

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