Non era mai accaduto prima eppure l'Italia conosce bene la rabbia davanti alla fila di bare: terremoti, stragi, dolore inutile, casuale, immenso. Ma a Genova, al funerale di stato per i 43 morti sbriciolati fra le macerie del ponte Morandi, c'è stata un'ovazione per Di Maio e Salvini insieme all'abbraccio di Mattarella e alle contestazioni dirette al segretario Pd Martina.

Applausi fragorosi malgrado una cerimonia difficile - sospesa fra tensioni e rancori-al governo. Matteo Salvini osannato dalla folla accetta tutto, baci, pianti, perfino i selfie che gli contesteranno piu tardi gli ultrà del web, dopo la messa funebre celebrata nel padiglione firmato Nouvel della grande Fiera affacciata sul mare di Genova. «Altro che selfie, i parenti delle vittime mi hanno avvolto in un abbraccio intenso» mi racconta il vicepremier «volevano toccarmi, parlare con me, sentire dalla mia voce che le promesse non erano, come in passato, solo parole, ma impegni concreti».

Così il corpo di Salvini - il torso nudo esibito come paradigma di una politica fatta di carne e sangue-è diventato ancora una volta, metafora della ricerca di una giustizia autentica. «Ho capito dalla tensione con cui molti mi stringevano le mani che oggi c'è bisogno di "fare" davvero» commenta lui - «questo paese ha vissuto troppo dolore ed ha avuto finora poca giustizia. Sai la cosa più bella che mi è accaduta a Genova? Ho guardato negli occhi le famiglie albanesi, proprio quelle che secondo qualcuno avrebbero provare diffidenza nei miei confronti. E invece è nato un legame fra noi, ho preso contatti con loro e con gli altri parenti, mi sono messo concretamente a disposizione. Ecco il mio numero, se non succede niente, se la giustizia dovesse per l'ennesima volta incappare nelle maglie burocratiche, chiamatemi. Io sono qui». «La politica nuova, quella del cambiamento -  sottolinea Salvini - non ha paura di sporcarsi le mani. Anche Cristo - argomenta-  aveva le mani sporche».

All'ex ministro piddino Roberta Pinotti, troppo fresca di parrucchiere - infinitamente più algida di come già appare- solo fischi. A Matteo, applausi. Ma lui mentre ascolta le parole sacre del cardinal Bagnasco si butta fra la gente che piange, consola, abbraccia. «Sotto quei cuscini di rose bianche già secche dal caldo c'erano mariti, mogli, sorelle, figli. Amori troncati, speranze, vite normali interrotte senza un apparente perché - argomenta ancora il vicepremier - il ponte era la via necessaria per la vita quotidiana e adesso più che mai Genova non può arrendersi, non lo farà». Il crollo di un ponte, sospira, segna un dolore assoluto: sono due punti che non si toccheranno mai più, dopo c'è solo l'oblio. E sì il padre di uno dei ragazzi morti apostrofa il leader leghista dicendogli chiaro ciò che pensa. Che è stato un omicidio di stato. Ha la testa fra le mani quel povero padre senza più lacrime e Salvini non si tira indietro. «Ti assicuro che avrete giustizia. Doverosa giustizia. Non vi riporterà indietro i corpi dei vostri cari ma vi farà sperare di vivere finalmente in un paese normale. Perché è questo che l'Italia deve diventare, un paese dove non ci sono le stragi di Viareggio o la tragedia di Genova». La politica, conclude Salvini, farà la sua parte anche dovesse farla attraverso decine, migliaia, miliardi di selfie.

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