ROMA - «Non possiamo essere lasciati soli. Di fronte a un fenomeno di portata globale ed epocale è impensabile che tutto sia lasciato sulle spalle del nostro Paese e che, all’interno del nostro Paese, sia lasciato sulle spalle di alcuni sindaci di frontiera. È impensabile, ma soprattutto profondamente ingiusto». Lo ha detto, parlando dell’accoglienza dei migranti, il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro, che guida una delegazione di duecento sindaci in udienza in Vaticano da Papa Francesco.

Rivolgendosi al Papa ha ricordato «l'impegno quotidiano di tanti sindaci nelle politiche di accoglienza, nel difficoltoso compito di costruire ponti e non muri, nel tendere mani e superare diffidenze». Quello dei sindaci, ha detto, è «un lavoro, ma anche una condizione spirituale": «Siamo chiamati ad essere i nuovi artigiani della civiltà e dell’umanità». Ha richiamato a non cedere all’"egoismo» e al «calcolo elettoralistico».

«Chi approda sulle nostre coste, spesso non lo fa per scelta. E non merita di crescere in un Paese ostile, in un clima di pregiudizio, violenza e discriminazione. Un Paese che accoglie, che non chiude le proprie porte alla speranza, è un Paese che genera vita e che guarda ed educa a guardare con speranza al futuro». Così il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro nel suo discorso davanti a Papa Francesco, durante l’udienza dei sindaci in Vaticano.

«Perché se l’egoismo, anche solo per calcolo elettoralistico, prevarrà sulla coesione, allora sì - ha sottolineato - che dovremo temere per la tenuta morale e sociale del Paese. Perché le fragilità sociali non hanno colore, i sindaci lo sanno bene, non fanno differenze di cittadinanza, sesso o etnia, ma possono coinvolgere tutti noi, in qualsiasi fase della nostra vita».

Decaro ha ricordato che 26 anni fa Bari, la città che oggi guida, di fronte all’arrivo di 20mila albanesi in fuga con la nave Vlora «non fece barricate, non costruì muri, non bruciò materassi. I baresi, semplicemente, aprirono le porte ai loro fratelli in difficoltà». Anche oggi, ha aggiunto, «Bari, ogni giorno, apre le porte ai minori stranieri non accompagnati che le mafie locali abbandonano all’alba davanti ai nostri centri famiglia. Li accogliamo, perché siamo una comunità, e loro sono nostri figli».
«Per questi nostri figli, e per tutti gli altri, noi sindaci abbiamo il dovere di guidare e sostenere quei piccoli passi del grande viaggio verso il cambiamento», ha concluso.

I rappresentanti dell’Anci hanno donato a Papa Francesco una stola, piatti decorati a mano, un cesto con prodotti tipici piemontesi e un turbante. Si tratta dell’opera di richiedenti asilo e rifugiati impegnati in realtà lavorative che fanno parte delle reti territoriali. Di fronte alla sfida del cambiamento e delle migrazioni «spesso ci capita di avere paura. Spesso vorremmo tornare indietro. Soprattutto quando ci sentiamo soli», ma «con la Sua parola, non lo saremo mai» ha detto Decaro ringraziando Papa Francesco per l’udienza alla delegazione di sindaci: «questa iniziativa, ci consente di guardare avanti con più fiducia e più coraggio». 

IL PAPA: CI VUOLE PRUDENZA, CORAGGIO E TENEREZZA - «Vi auguro di potervi sentire sostenuti dalla gente per la quale spendete il vostro tempo, le vostre competenze, quella familiarità del sindaco con il suo popolo, quella vicinanza, se il sindaco è vicino la cosa va avanti, sempre». Lo ha detto il Papa nella udienza all’Anci. "Un sindaco - ha detto ancora - deve avere la virtù della prudenza per governare, ma anche la virtù del coraggio per andare avanti e la virtù della tenerezza per avvicinarsi ai più deboli».

A città più umane e aperte serve «una politica e un’economia nuovamente centrate sull'etica: un’etica della responsabilità, delle relazioni, della comunità e dell’ambiente», ha aggiunto. «Ugualmente, abbiamo bisogno di un 'noì autentico, di forme di cittadinanza solide e durature. Abbiamo bisogno di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, che non lasci ai margini chi arriva sul nostro territorio» ma valorizzi le risorse di tutti.

- «La città - ha detto il Papa nella udienza all’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) - è un organismo vivente, un grande corpo animato dove, se una parte respira a fatica, è anche perché non riceve dalle altre ossigeno a sufficienza. Penso alle realtà nelle quali viene meno la disponibilità e la qualità dei servizi, e si formano nuove sacche di povertà ed emarginazione. È lì - ha denunciato papa Bergoglio - che la città si muove a doppia corsia: da una parte l’autostrada di quanti corrono comunque iper-garantiti, dall’altra le strettoie dei poveri e dei disoccupati, delle famiglie numerose, degli immigrati, di chi non ha qualcuno su cui contare».

«Non dobbiamo - ha esortato il Pontefice - accettare questi schemi che separano e fanno sì che la vita dell’uno sia la morte dell’altro e la lotta per sé finisca per distruggere ogni senso di solidarietà e umana fratellanza». «A voi sindaci, - ha detto ancora papa Bergoglio - mi permetto di dire come un fratello: bisogna frequentare le periferie, quelle urbane, quelle sociali e quelle esistenziali. Il punto di vista degli ultimi - ha ricordato il Papa - è la migliore scuola, ci fa capire quali sono i bisogni più veri e mette a nudo le soluzioni solo apparenti. Mentre ci dà il polso dell’ingiustizia, ci indica anche la strada per eliminarla: costruire comunità dove ciascuno si senta riconosciuto come persona e cittadino, titolare di doveri e diritti, nella logica indissolubile che lega l’interesse del singolo e il bene comune. Perché ciò che contribuisce al bene di tutti concorre anche al bene del singolo».

«Mi rallegra sapere - ha detto il Pontefice in un ulteriore passaggio - che molte delle amministrazioni locali qui rappresentate possono annoverarsi tra i principali fautori di buone pratiche di accoglienza e di integrazione, con esiti incoraggianti che meritano una vasta diffusione, il ricordo dell’arrivo degli albanesi a Bari, ne è un esempio: mi auguro che tanti seguano il vostro esempio». Così, ha aggiunto, "la politica può assolvere a quel suo compito fondamentale che sta nell’aiutare a guardare con speranza al futuro. È la speranza nel domani che fa emergere le energie migliori di ognuno, dei giovani prima di tutto. Che non rimangano soltanto destinatari di pur nobili progetti, ma possano diventarne protagonisti; e, allora, non mancherete di raccoglierne anche i benefici».

«Comprendo, comprendo, eh, il disagio di molti vostri cittadini di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati. Esso trova spiegazione nell’innato timore verso lo 'stranierò, un timore aggravato dalle ferite dovute alla crisi economica, dall’impreparazione delle comunità locali, dall’inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza». Ma tale disagio, ha detto il Papa, «può essere superato attraverso l’offerta di spazi di incontro personale e di conoscenza mutua. Ben vengano allora tutte quelle iniziative che promuovono la cultura dell’incontro, lo scambio vicendevole di ricchezze artistiche e culturali, la conoscenza dei luoghi e delle comunità di origine dei nuovi arrivati».

Il Papa sogna un modello di città «che non ammette i sensi unici di un individualismo esasperato, che dissocia l’interesse privato da quello pubblico. Non sopporta nemmeno i vicoli ciechi della corruzione, dove si annidano le piaghe della disgregazione. Non conosce i muri della privatizzazione degli spazi pubblici, dove il 'noì si riduce a slogan, ad artificio retorico che maschera l'interesse di pochi».

Per costruire questa città, ha detto, «serve un cuore buono e grande nel quale custodire la passione del bene comune». «Non si tratta - ha spiegato - di alzare ulteriormente la torre, ma di allargare la piazza», di "promuove giustizia sociale, quindi lavoro, servizi, opportunità». Il Papa ha chiesto anche di non creare città a "doppia velocità», con «autostrade per ipergarantiti» e "strettoie per i poveri e i disoccupati».

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