Il referendum in Lombardia e Veneto di domenica e il gap Nord Sud

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Lamezia Terme - Referendum domenica 22 ottobre per l’autonomia della Lombardia e del Veneto, due parole: poteri e risorse. La Catalogna puntava all’indipendenza su un residuo fiscale di 8 miliardi da trattenere sul territorio, in Lombardia è di 54 miliardi e si punta a farne rimanere la metà. Dei 27 miliardi, 15 saranno destinati a un fondo di solidarietà b2b tra regioni. In questo modo si potranno fare investimenti sul modello dei fondi europei e potendo trattenere la metà del residuo fiscale, ogni Regione virtuosa potrebbe adottare una Regione del sud e fare politiche di sostegno, per esempio alle imprese che vogliono delocalizzare si daranno agevolazioni.

Sarà un referendum legale, realizzato con lo Stato per chiedere maggiori poteri in un modo previsto dalla Costituzione italiana. Le differenze territoriali sono indicatori di debolezza strutturale del sistema. E le politiche economiche dovrebbero provvedere a risanarle. E con la firma del decreto n. 745 del 24/07/2017, il presidente Roberto Maroni ha indetto il referendum consultivo di domenica 22 ottobre per l’autonomia della Lombardia. In poche e semplici parole, questo referendum vuole verificare se gli elettori vogliono intraprendere iniziative per richiedere allo Stato altre forme di autonomia con relative risorse rimanendo nell’Unità nazionale. Verrà chiesto ai cittadini se vogliono che la giunta regionale faccia richiesta allo Stato per ottenere maggiore autonomia tramite una procedura prevista dalla Corte Costituzionale. L’esito non è vincolante e sulla procedura di concessione di maggiore autonomia, l’ultima parola spetta allo Stato. In questo tipo di referendum non è previsto un quorum, cioè il numero minimo di votanti perché sia valido. A prescindere dal numero delle persone che voteranno ci sarà la vittoria del sì o del no.

La tesi è che Milano non è più la “locomotiva del resto del Paese”. La Banca d’Italia fornisce la dimensione quantitativa del trasferimento di risorse dalle regioni del Nord a quelle meridionali. Vede una ripartizione territoriale del conto della Pa con i dati del 2014 e il centro Nord con un avanzo primario pari a circa il 7,5 per cento del proprio Pil, e il Mezzogiorno con un disavanzo primario che supera il 15 per cento del Pil. A partire da una quantificazione di questo tipo, nella fase delle politiche di austerità, c’è un alleggerimento della correzione fiscale sulle regioni del Sud che avrebbe richiesto misure tali da portare a un ulteriore sovraccarico alle aree del Nord. Queste sperimentavano una fase di recessione e politiche di bilancio restrittive. La conseguenza è stata che i saldi di finanza pubblica delle diverse aree hanno fatto sì che la politica fiscale è stata più restrittiva nella parte del Paese dove la recessione è stata più profonda. Il fil rouge delle politiche degli ultimi anni è quello dello scambio fiscale con la riduzione degli oneri sociali finanziati con un aumento della fiscalità indiretta. Un insieme di ingredienti che ha favorito gli esportatori e scoraggiato la domanda interna. In questi termini si può comprendere come la speranza di crescita, scarsa per l’intero territorio nazionale, sia potuta diventare un tale resoconto finanziario economico.

Il referendum di domenica 22 ottobre vedrà le operazioni di voto che si terranno dalle 7 alle 23 in Lombardia e Veneto. Il quorum è previsto solo in Veneto, dove la legge regionale stabilisce che, per considerare valido il risultato si debba esprimere il 50 per cento dei voti più uno dei votanti. In Lombardia si sperimenta il sistema e-voting, mentre in Veneto rimane la scheda cartacea. Il decreto di voto stabilisce l’utilizzo del voto elettronico, una novità a livello nazionale. La regione ha acquistato 24 mila tablet che saranno utilizzati negli 8000 seggi, per una spesa di 24 milioni di euro. Il voto sarà elettronico nel 100 per cento dei seggi. Lo schermo riprodurrà tre caselle, sì, no e bianca. Un voto per spostare competenze di 11 materie dal centro alla sede giusta, quella regionale per dare più autonomia a chi dimostra di saper gestire le risorse. Il referendum insomma serve a chiedere a lombardi e ai veneti se vogliono che la loro giunta regionale invochi il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che fu introdotto con la riforma della Costituzione del 2001 e che permette alle regioni con un bilancio in equilibrio di chiedere allo Stato centrale di affidargli nuove competenze. Dallo scorso luglio l’Emilia Romagna ha attivato le procedure previste dall’articolo 116 senza fare alcun referendum.

Se vincerà il sì le due regioni non si aggiungeranno alle cinque regioni a statuto speciale, Friuli Venezia Giulia, Sardegna Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, ma l’esito avrà un valore politico. In Lombardia il referendum costerà 50 milioni, in Veneto 14 milioni. Cosa avviene? Nell’immediato non cambierà nulla, non avranno più autonomia ma più forza al tavolo delle trattative con il Governo se dovesse vincere il sì. In caso contrario la forza contrattuale delle regioni diminuirà e potranno avviare la procedura dell’articolo 116 della costituzione per richiedere più autonomia. In tutte e due le regioni si sono schierati a favore Forza Italia, il Pd e i Cinquestelle contrari la Sinistra, Campo Progressista e Fratelli d’ Italia.

Maria Arcieri

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