Tratta, violenze e prostituzione: dalla Nigeria a Lamezia, la storia di due giovani donne che ce l’hanno fatta

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Lamezia Terme - Partono alla ricerca della dignità negata, hanno in petto un unico desiderio di libertà, il sogno di una vita nuova. Sono gli uomini, le donne e i bambini, i nuovi migranti che dalla Nigeria passano dalla Libia, per raggiungere un paese che si chiama Italia e che ai loro occhi appare come un’isola felice. Quel paese che un tempo per gli italiani, e i numerosi calabresi, poteva essere Ellis Island, l'illusione di un’America che non c’è appunto.

Dare uno sguardo al viaggio percorso dai migranti, sempre più spesso destinato a non avere mai un arrivo, può aiutare ad immedesimarsi sull’orrore dello stesso: ricatti, debiti da estinguere, bastonate, violenza sessuale, condizioni igienico sanitarie inesistenti, e altro ancora.

Dai racconti di coloro che ce l’hanno fatta, dopo essersi ritrovate in acque gelide o disidratate lungo la sabbia di deserti caldi, con la loro conseguente energia nel mettersi continuamente in gioco in un paese diverso, più tranquillo, l’immigrazione appare quale risorsa, sebbene venga conclamato come problema da risolvere dal Governo al potere.

Di seguito le storie di due giovanissime ragazze, provenienti dalla Nigeria e dalla Somalia, dove hanno lasciato famiglia e parenti, per fuggire via da una politica attenta a vendere come merce le donne. L’arrivo in Italia, poi a Lamezia Terme, seguendo il progetto Sprar, insieme a percorsi di assistenza legale e psicologica ha permesso loro la continuazione di un sogno. Oggi stanno bene, parlano l’italiano, sono integrate, e sono felici, sicure di aver compiuto una piena rimozione del loro tortuoso passato.

M. è riuscita ad ottenere lo status di rifugiato politico, è stata aiutata dalle operatrici di Mago Merlino a portare avanti la sua gravidanza e sogna di creare una famiglia insieme al papà della bimba, conosciuto in un Cas nel Nord Italia. M. ha un sorriso contagioso. Ha accanto una bimba di appena un anno, ha un codino, orecchini, occhi grandi e neri, e sorride tanto anche lei. M. ha il palmo della mano bianco, come le mani di ogni italiana. H. vuole iscriversi all’università, vuole fare giurisprudenza, e intanto si stanno avviando le pratiche che glielo consentano al più presto. Anche H. sorride, esce spesso nel centro cittadino, è integrata con le sue coetanee, si interessa di arte e cultura. H. ha oggi un figlio di 7 anni, vive in Somalia e sogna di poterlo rivedere. “Vorrei vederlo ogni giorno, non un giorno solo”.    

È il viaggio, il punto focale del tragico tema mondiale della tratta degli esseri umani fra i maggiori crimini contro l’umanità, fra i traffici purtroppo più lucrosi per le reti criminali internazionali. E ancora il viaggio a scopo di sfruttamento sessuale. È quanto si registra ogni giorno nel mondo. Uomini e donne costrette a pagare un debito, spesso infinito, per raggiungere l'Italia, che solo a sentirglielo pronunciare questo posto, i loro occhi neri regalano improvvisi e silenziosi sorrisi. Sorrisi, dopo tante lacrime e terrore.

Si tratta di uomini e di donne che, durante la tratta, vengono sfruttati come schiavi e anche come prostitute. Il prezzo più alto da pagare insomma, sulla loro pelle, sul loro corpo esile o meno che sia, che quando si ammala, per non rischiare di infettare, gli si inietta una puntura e lo si fa morire, che quando non ce la fa più questo corpo lo si lascia cadere dai pick up stracolmi nel deserto. Ma cosa si cela dietro questo debito dei nuovi migranti, (la maggioranza parte dalla Nigeria, per far sosta in Libia, e arrivare dopo anni in Europa, e infine in Italia) a cui non è dato sapere nulla a nessuno?

“In Nigeria ci sono persone molto ricche e persone molto povere. Non c’è un Governo che bada ai diritti del popolo. C’è solo interesse economico. Le persone sono merce da vendere e svendere a loro piacimento - racconta così a Il lametino.it, M. una ragazza nigeriana di 22 anni, con accanto la sua figlioletta di un anno, che attualmente vive nello Sprar Due Soli di Lamezia Terme dopo un percorso da ex vittima di tratta - La gente decide di lasciare il paese perché spera che sarà sempre meglio. I giovani in Nigeria sono senza lavoro”.

A persuadere le ragazze ci sono uomini che organizzano il viaggio e poi ci sono le maman, ex prostitute, che gestiranno da vicino il viaggio e le accompagneranno fino all’arrivo in Libia. Nel mentre può succedere di tutto. C’è violenza, disumanità, non c’è cibo e l'acqua da pagare si aggiunge al debito. “L’acqua del deserto se la bevi - aggiunge H. 23 anni, somala - passi delle ore a rimettere, e se qualcuno cade dal furgone lo lasciano lì a terra a morire nel deserto”. Appena arrivate, ci sono i soldati libici ad aspettarle e ad imputarle di chiamare le loro famiglie per la somma di denaro strumentale al viaggio in Europa. Se questa somma non arriva saranno botte e violenze sessuali.

Prima dell’Italia c’è la Libia: per chi non può pagare ci sono le connection house, le case della prostituzione

“Quando sono arrivata in Libia - dice M. - mi sembrava di stare in un paese senza Dio. Gli uomini sembrano avere la libertà di trattare le persone come vogliono. Sembra un grande ghetto, una casa bassa e larga, con dentro tante persone, tanti uomini. Dentro non c’è niente, non c’è acqua, non ci sono bagni. Ci mettono in questo ghetto come sosta, prima dell’attraversata del mare. Ci sono persone che rimangono lì oltre un anno, altre sei mesi. Dipende dal pagamento, ma anche se pagano devono aspettare il mare calmo. Io non avevo scelta”.

Coloro che si trovano impossibilitate a pagare il viaggio faranno sosta nelle connection house. “Nelle case della prostituzione - aggiunge M. - le connection house, le ragazze vengono vendute a 1000 denari nella moneta libica, ma poi ne chiedono 2000. Quello che guadagnano viene diviso fra il proprietario di casa e la maman che le gestiscono. Fanno le prostitute senza alcun tipo di protezione, non badano alla cura della salute, sono private dal cibo, di tutto”. Le ragazze vengono posizionate come oggetti in una fila orizzontale, 20 per volta, per essere scelte dal cliente, spesso le costringono ad effettuare prestazioni sessuali anche in pessime condizioni di salute o  con le mestruazioni in corso. “Quando sono arrivata in Libia ho diviso la mia vita, una parte per il paese e l’altra parte per Dio. Non c’erano valori. Si è sempre in contatto con i banditi che chiedono i soldi, quando non si riesce a pagare la cosa più semplice è uccidere, sparare”.

L’orrore del rito ‘voodoo’

Il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, attuato sulle ragazze nigeriane che giungono in Italia con la speranza di una vita dignitosa, passa anche dal rito voodoo, dietro cui si cela il senso del peccato. Il rito religioso viene, infatti, strumentalizzato a favore degli uomini del crimine, per tenere sotto scacco le donne. “Se non obbedisci, se non continui a prostituirti, per pagare il debito, commetti una grave colpa, e finirai per impazzire o per morire” - spiegano alcune operatrici di Mago Merlino, l’associazione che si occupa di sensibilizzazione sulle vittime di violenza e di tratta - non è facile per alcune ragazze uscire dall’incubo del rito voodoo, per mesi continuano a credere di avere dei serpenti nell'addome”.

La Libia è il posto del maggiore crimine mondiale. Oltre alla violenza, alla schiavitù sessuale delle connection house, c’è la violenza comune lungo le strade libiche attuata dai soldati. Per coloro che arrivano in Libia è sempre la stagione dell’inferno. Quello vissuto da H., giovane donna di origine somala che, arrivata in Libia, si è ritrovata ad essere stata scelta dal capo dei soldati, e segregata una settimana al buio in una stanza scarna di arredamenti, su un letto matrimoniale, in attesa della notte da trascorrere con il grande orco.

“Lui valeva per 10 uomini - racconta - impossibile sfuggire alla sua forza, alla sua violenza. Non ho visto la luce del sole per giorni finché, grazie a una rissa scatenata da un ragazzo della mia stessa etnia, una notte sono riuscita a scappare, a tagliarmi i capelli e a vestirmi da soldato, infine ad imbarcarmi e arrivare in Italia”. Sembra una scena da film, ma non lo è.

Programmi anti tratta ex art. 18 e terzo settore

Grazie al Dlgs 286/1998 del TU sull'immigrazione e alla Legge 228/2003 sulle Misure contro la Tratta di Persone, l’Italia è divenuto un paese all'avanguardia rispetto al sistema di protezione sociale dando valore, non solo al percorso giudiziale, ma anche a quello sociale. Ad abbracciare in modo sostanziale il programma nazionale di protezione, in Calabria c’è il Progetto Incipit, una iniziativa per l’individuazione, protezione e integrazione delle vittime di tratta e contro lo sfruttamento sessuale e lavorativo, e la Mago Merlino un’associazione composta da più enti: Associazione La Strada, Comunità Progetto Sud e Suore della Caritas dette di Maria Bambina. Un percorso che da decenni ha ottenuto buoni riconoscimenti sul piano della risoluzione, grazie all’interesse del terzo settore, nonostante la contingenza politica non faccia ben sperare. Un percorso a cui seguono grandi opportunità per uscire definitivamente dal tunnel della disperazione, per dare nuovi colori ai giorni, accanto a figli, spesso nati da clienti sulla strada, per fare psicoterapia, alfabetizzazione, assistenza legale e sanitaria.

“Mago Merlino si occupa dell’aspetto più prettamente sessuale – raccontano – mentre la Progetto Sud segue anche l’aspetto lavorativo, insieme a Il Delta. Le segnalazioni arrivano dal numero verde nazionale – 800 290290 – dalle forze dell’ordine, dai Cas e dagli Sprar”.

Valeria D'Agostino

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