L'ANALISI
12 Maggio 2018 - 08:16
Il giudice Alessandra Dolci e Giovanni Fasani
SORESINA - «Non faccio il magistrato con l’ambizione di sconfiggere la ‘ndrangheta. Lo faccio perché è il mio dovere». Si descrive come un’umile servitrice dello Stato, e parla più come un soldato che come un generale, eppure in Lombardia la numero uno nella lotta alla criminalità organizzata è lei. Alessandra Dolci, magistrato soresinese, venerdì 11 è tornata nella sua città natale per ritirare il premio ‘Francesco Genala’, riconoscimento che le è stato assegnato in sala del Podestà dal Lions Club Soresina. Dopo le introduzioni del presidente del sodalizio, Albino Gorini, e del professor Franco Verdi, il giudice Dolci ha fotografato in modo efficace, e per certi versi spietato, il grado d’infiltrazione delle associazioni mafiose nel territorio lombardo: «Mi sono sempre chiesta come abbiano fatto persone così lontane da noi, per cultura e tradizioni, a colonizzare la nostra regione. E la risposta è che le famiglie calabresi non si sono imposte solo con le proprie forze, siamo stati noi ad aprire la porta e a farle accomodare. Nelle mie indagini, ho constatato che molti imprenditori lombardi si sono rivolti alla ‘ndrangheta. E nella maggior parte dei casi sono stati proprio loro a chiederne i ‘servizi'».
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