L'ANALISI
05 Giugno 2018 - 21:11
CREMONA - Con il senno del poi, «forse la caz..... l’abbiamo fatta noi», la butta lì Marco, militante di CasaPound. Perché «appiccicare» due adesivi di CasaPound sul portone del centro sociale Dordoni, prima della partita Cremonese-Mantova del 18 gennaio del 2015, fu una provocazione. O meglio, la provocazione, che al termine dell’incontro allo Zini, scatenò la violenta rissa tra antagonisti e neofascisti sul piazzale del Foro Boario.
I primi schierati con caschi e bastoni, gli altri usciti disarmati dallo stadio, diretti prima al bar Matisse, in via Mantova, il loro abituale luogo di ritrovo. E da qui, di nuovo sul piazzale del Foro Boario, dove avevano parcheggiato le auto. Ed è lì che gli autonomi tesero ai neo fascisti «un agguato», come è stato confermato oggi al processo sugli scontri di quel violento pomeriggio, quando fu colpito alla testa e ridotto in coma «il più vecchio» degli antagonisti: Emilio Visigalli, l’unico senza casco, con in mano «il manico di un badile», due passi più avanti dei ‘compagni’.
Un Visigalli «minaccioso», che urlava «frasi scommesse», mentre gli altri gridavano «fascisti di m.... venite qua». Visigalli finì in ospedale. Il sabato successivo, il Dordoni organizzò la manifestazione nazionale antifascista degenerata in violenze. Per l’accusa, a colpire Visigalli furono i neo fascisti, Gianluca Galli, leader di CasaPound, e Guido Vito Taietti, accusati, in concorso, di tentato omicidio. Anche Gianluca Galli fu colpito. Da chi? Per l’accusa dagli antagonisti Michele Arena e Alberto Birzi, loro accusati di lesioni gravi.
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