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Alla ricerca del centro perduto

“E’ evidente che prima delle prossime politiche occorra riorganizzarsi”. Come? Guardando “a un centro sinistra moderato perché le elezioni le vinciamo al centro, non a sinistra” (Matteo Renzi, 22 Maggio).
“Si vince guardando al centro che ormai, franata Forza Italia, non è più rappresentato”. (Carlo Calenda, 28 Maggio).
Delle dichiarazioni del primo ciò che colpisce di più è l’aggettivo usato: “evidente”. L’evidenza non si riferisce alla necessità di riorganizzarsi, quanto al posizionamento, alla necessità di raccogliere consensi al centro. Anche Calenda coltiva la stessa prospettiva ma, in un avvitamento di cui non scorge la contraddizione, si spinge oltre ipotizzando di trasformare la sua piattaforma programmatica – Siamo Europei – in un movimento politico “naturalmente” alleato del PD di Zingaretti. La contraddizione sta nel fatto che nella stessa intervista l’ex Ministro dello Sviluppo Economico ritiene che si debba “tenere insieme liberaldemocratici, socialdemocratici e popolari“. Se uso l’espressione “tenere insieme” è perché penso verosimilmente ad un unico contenitore. Se l’idea, invece, è quella di tenerli insieme tramite un’alleanza, allora o Calenda e il suo movimento hanno l’ambizione di rappresentare la cultura liberaldemocratica e quella popolare, oppure i soggetti diventano inevitabilmente tre. Chi lo fa il terzo?

Attenzione però, tutta sta confusione parte da un presupposto che è tutto da verificare, e cioè cos’è il centro? E ancora, esiste ancora un centro politico? Io ne dubito fortemente.
Per oltre quarant’anni, quest’area è stata saldamente occupata dalla Democrazia Cristiana a cui guardava quella larga parte di ceto medio, di piccola borghesia, che aveva raggiunto un discreto benessere grazie alla poderosa crescita economica nel dopo guerra e che da quel partito si sentiva coccolata, garantita e protetta. E a quel partito, oggettivamente, perdonava tutto: collusioni inconfessabili, scempio del tessuto urbano in tante grandi città, clientelismo sfacciato e diffuso, corruzione e tanto altro ancora.
In quel partito convivevano, in un perenne e poco sotterraneo conflitto, un anima reazionaria e una – anche assai larga – progressista, legata al cattolicesimo democratico e, quindi, al mondo del lavoro. Tanti, allora, i lavoratori che nel sindacato di riferimento o in altre associazioni collaterali (una per tutte, le ACLI), esprimevano il proprio consenso politico ed elettorale alla DC.

Poi ci fu il crollo del Muro di Berlino, tangentopoli e, soprattutto, Berlusconi. Chi decretò la fine di quell’esperienza che lo sfaldamento dei regimi dell’est e un sistema diffuso di corruzione avevano già messo in crisi, non furono Gorbaciov e Di Pietro, ma proprio Silvio Berlusconi. Forza Italia non raccolse affatto l’eredità democristiana proponendosi come il nuovo centro tranquillo e tranquillizzante, ma completò l’opera di completa sgretolazione, radicalizzando al massimo la competizione politica. Superò ogni tipo di mediazione sociale, caratterizzandosi come una forza di destra che faceva leva sull’anticomunismo più becero, e con programmi economici e sociali di destra. Insomma, con Berlusconi il centro politico scompare. Infatti, quella larga parte che aveva come punto di riferimento la dottrina sociale della Chiesa, a sua volta, fa una scelta di campo altrettanto netta non solo schierandosi e alleandosi con la sinistra ma, in alcuni e fortunati casi, mettendosi alla testa della stessa (Prodi e l’Ulivo).

Il PD, sostanzialmente, nasce proprio sulla base di queste considerazioni. Essere di sinistra oggi, e oramai da tanti anni, non significa necessariamente essere socialisti. Marini disse, giustamente da suo punto di vista, di non voler morire socialista. Aggiungo che nessuno glielo chiede. Ma nessuno, onestamente, può definire Mariniun uomo di centro”. Marini, Prodi, Franceschini, Letta, di centro non lo sono mai stati. Erano uomini di sinistra che militavano nella DC. Erano portatori sani di quegli ideali di giustizia sociale, di attenzione ai diritti del mondo del lavoro, di equità fiscale, di attenzione agli ultimi che in tutto il mondo sono propri della “sinistra” comunque la si declini.

Il problema che ci si pone difronte ora, invero, è esattamente l’opposto: da vent’anni a questa parte abbiamo sempre più conquistato consenso verso quella che fu l’area e l’elettorato di centro, perdendolo a sinistra! Personalmente mi sono spesso interrogato sul fatto, e numerosi articoli pubblicati in tempi non sospetti proprio qui su l’Argine sono a testimoniarlo, che il PD mai si interrogasse a sua volta sul perché milioni (milioni!) di voti della mitica e tutt’ora viva, oltre che numericamente consistente, classe operaia si spostassero progressivamente verso la Lega. La Lega i voti degli operai non li ha conquistati il 26 maggio, li ha iniziati a conquistare da anni. Monfalcone ricorda qualcosa a qualcuno?

Il PD è oggi un partito sostanzialmente di centro. Tutte le pulsioni e le paure di quello che fu il centro moderato, già le raccoglie. Non c’è più nulla da intercettare in questo campo. Ciò che sopravvive elettoralmente in Forza Italia è il frutto di una classe dirigente ancora ben radicata nei propri territori, autoreferenziale, né di destra, né di sinistra. E nemmeno di centro, però. Rappresentano se stessi, i propri interessi e le proprie ambizioni.

La verità, secondo il mio personalissimo punto di vista, è che non c’è un centrosinistra ma che vada (finalmente) costruito. Anzi, mi correggo, non è un mio personale punto di vista, è ciò che aveva in mente Alfredo Reichlin. Il suo “Partito della Nazione” questo era, una forza che grazie alla costruzione di un nuovo blocco sociale, unito da una prospettiva comune, raccogliesse l’eredità socialista, liberaldemocratica e cristiano sociale. Si rivolgesse, cioè, a tutte quelle categorie sociali, imprenditori, lavoratori, quel che rimane del ceto medio, minacciate e impoverite da una globalizzazione che è stata guidata e sfruttata dalla speculazione finanziaria internazionale, e sulle cui macerie la destra sta costruendo la sue fortune elettorali.
Ad oggi l’unico ad aver capito che è questa l’unica strada da seguire, mi sembra Enrico Rossi.
Riuscirà a farlo capire a Zingaretti, Calenda e Renzi? Sarà la vexata quaestio.

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