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Ingroia, PaP e LeU. Cosa fare del 41-bis?

Chi non ricorda “Rivoluzione civile“, la lista creata e guidata da Antonio Ingroia, che si presentò alle elezioni politiche del 2013 e che raccolse adesioni entusiaste da parte di larga parte della sinistra cosiddetta “radicale“? Ad essa infatti aderirono (fra gli altri) i Comunisti italiani del PdCI all’epoca di Oliviero Diliberto (ora sparito dallo scenario politico), Rifondazione Comunista all’epoca di Paolo Ferrero (ora non più segretario), il Movimento arancione dell’attuale sindaco di Napoli Luigi De Magistris, ed altri. Il risultato, ahiloro, fu deludente, come da molti era stato previsto, nell’irrisione degli entusiasti aderenti: poco più del 2% alla Camera, meno del 2% al Senato.

Ora gran parte di coloro che fecero parte di quell’infausto tentativo (stando ai risultati così grami ottenuti, che letteralmente affossarono la creatura politica) sono confluiti nel Movimento che si è dato il nome di “Potere al Popolo“, capeggiato da Viola Carofalo, la precaria napoletana che si dice sicura di superare il 3% alle prossime elezioni politiche ma sostiene che, in ogni caso, loro “hanno già vinto” («Noi non possiamo essere sconfitti perché abbiamo già vinto … Gli scenari che ci si parano davanti, dunque, sono ininfluenti al fine del nostro percorso … Chi può fermare compagne e compagni che si ritrovano, si riconoscono uguali nelle pratiche, nell’agire quotidiano, nelle istanze di cambiamento? Chi può fermare la forza di 200 assemblee, da Roma ad Alessano, da Campobasso a Milano? Chi può fermare la Storia?» – ha detto con entusiasmo Viola Carofalo in un’intervista). Ma, a prescindere dalle previsioni che vengono con tanta sicurezza arrischiate (l’ossimoro è inevitabile), è interessante vedere come Antonio Ingroia e la sua Rivoluzione Civile, il cui sangue si mischiò con buona parte di quelli che oggi stanno nel nuovo soggetto, vengono giudicati dal capo politico di quest’ultimo, la già citata Viola Carofalo:

«Quando parliamo di Ingroia parliamo di uno che noi non riteniamo parte del nostro “album di famiglia”» (sic!), una delle affermazioni di tono un po’ sprezzante che vengono subite senza apparenti reazioni da chi cinque anni fa spese impegno e speranze per quel progetto ed oggi partecipa al nuovo movimento, nato dall’ex-OPG di Napoli: forse un maggior rispetto per i “compagni di strada” (o compagni tout court) non guasterebbe. Forse starebbe anche a loro richiederlo, ed anzi pretenderlo.

Ma c’è di più: da “PaP” è venuta la proposta – per il senso comune abbastanza strabiliante, per la verità – dell’abolizione (abolizione, non modifica o correzione) dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, quello relativo al “carcere duro“, che viene applicato “a singoli detenuti ed è volto a ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all’esterno, i contatti tra appartenenti alla stessa organizzazione criminale all’interno del carcere e i contrasti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l’ordine pubblico anche fuori dalle carceri“. Antonio Ingroia – che probabilmente non aveva un granché di formazione politica, ma la legge la conosce bene e di lotta a mafia e terrorismo è competente (il suo programma prevedeva: “Legalità: nuova politica antimafia che abbia come obiettivo l’eliminazione della mafia, non solo il suo contenimento; colpire la mafia nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri; ripristino del falso in bilancio; inserimento nel codice penale dei reati contro l’ambiente“) – ha giudicato molto negativamente quella presa di posizione, come da parte sua è comprensibile. Questo gli ha attirato ulteriori e pesanti strali da Potere al Popolo, avendo Viola Carofalo dichiarato in un’intervista: «Antonio Ingroia, recentemente, preso dalla foga di attaccarci sull’abolizione del 41 bis, accusandoci di voler fare un regalo ai mafiosi che si sarebbe aspettato, invece, da Berlusconi, ha dimenticato che è stato proprio Berlusconi a renderlo legge ordinaria e a rafforzarlo». In un’altra intervista la medesima Carofalo ha chiarito bene questo punto: «l’applicazione del regime carcerario che segue l’articolo 41 bis non ha reso meno forte il potere della mafia, che anzi negli ultimi 20 anni sembra essersi rafforzato e ramificato. Inoltre il regime di carcere duro non è stato sempre applicato agli esponenti della criminalità organizzata: ricordiamo gli attivisti No TAV in attesa di giudizio sottoposti al 41bis, ma ricordiamo anche clamorosi casi di errori giudiziari. Abolire il 41bis non vuol dire fare un regalo ai mafiosi. Per quanto possono immaginarsi misure particolari per evitare che i boss mafiosi costruiscano reti di potere nel carcere o dal carcere, sappiamo che la soluzione è una sola: la mafia si combatte sottraendo alla criminalità il terreno su cui essa prospera … Abolire il 41bis è un passaggio necessario per parlare di riforma carceraria, e per dare un valore riabilitativo e non punitivo alla pena che i detenuti devono scontare. Il 41bis impone isolamento totale, rarissimi contatti umani, impossibilità di distinguere il giorno dalla notte, il divieto di possedere carta, libri, penne………..si tratta di un regime che punta all’annullamento dell’essere umano, non alla sua riabilitazione. Come possiamo dire che per qualcuno questa forma di tortura possa essere lecita? Se il carcere deve essere riabilitativo deve esserlo per tutti, non solo per qualcuno».

Osservazione: ma veramente si pensa che “il popolo” vorrebbe ed apprezzerebbe che fosse reso meno duro il carcere ai mafiosi, terroristi e via delinquendo (pur nell’attenta vigilanza che, quella sì, deve essere effettuata sulle misure messe in atto e delle persone a cui viene comminato)? Si ha idea di quella che sarebbe la reazione popolare ad un provvedimento di abolizione del 41-bis?
Sono (anche) queste le ragioni che (insieme a molte altre) rendono difficile capire come si possa aderire a “Potere al Popolo“, come cinque anni fa d’altronde avveniva per la “Rivoluzione Civile” di Ingroia: di quella conosciamo il risultato, di questa lo vedremo fra un paio di settimane (anche se la “vittoria” è stata pre-annunciata, sarà bene vedere cosa offrirà la realtà). Per quanto ci riguarda, noi di Liberi e Uguali nel nostro programma (http://liberieuguali.it/programma/#giustizia) abbiamo scritto, al paragrafo intitolato “La giustizia uguale per tutte e tutti“: «Il regime del carcere duro per i mafiosi che mantengano un rapporto con i propri territori d’influenza non va mitigato e vanno tutelati i testimoni e i collaboratori di giustizia nei processi di mafia. È urgente un intervento sul sistema carcerario e una riforma dell’ordinamento penitenziario per garantire il rispetto della dignità della persona, anche quando detenuta» (non va dimenticato, d’altra parte, che Pietro Grasso, capo politico di Liberi e Uguali, è stato Procuratore nazionale antimafia: lui di legge, di terrorismo e di mafia se ne intende). Gli elettori possono valutare e decidere con chi stare.

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