Crescita_Occupazione

La crescita non è per tutti: è questa la ‘disuguaglianza’

Nel Rapporto Istat pubblicato il 5 Gennaio si legge che «Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato dello 0,7% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono cresciuti dello 0,2%. Di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è aumentata di 0,5 punti percentuali, salendo all’8,2%»; questo basta ad esponenti del Governo e del partito (attualmente) di maggioranza, il Pd, ed in particolare al suo segretario Matteo Renzi, per rivendicare il (presunto) merito di questo dato, definito in un suo tweet “non miracolo, ma risultato“, volendo egli intendere che si tratta della conseguenza positiva delle politiche messe in opera dal suo Governo (quello dei “1000 giorni“), e magari in piccola parte da quello Gentiloni, che in parte rilevante è una fotocopia del precedente. In queste affermazioni la malafede e la volontà di strumentalizzazione gareggiano con l’ignoranza: ed è facile dimostrare perché.

Il dato pubblicato dall’Istat è un dato “aggregato“, cioè una media ottenuta dividendo la crescita nominale del Pil per il numero complessivo di famiglie, come se a ciascuna di esse fosse arrivato pari pari il risultato di quella divisione: è del tutto evidente che le cose, nella realtà, non stanno così. Infatti, la crescita non si spalma in modo uniforme su tutte le famiglie, ma – è quello che viene denunciato come “disuguaglianza” – si concentra su una porzione ridotta dell’universo complessivo: come nel caso dei famosi “polli di Trilussa“, se una famiglia ne mangia due ed un’altra rimane a digiuno, secondo la statistica “grezza” le due famiglie hanno goduto di un pollo ciascuna, non importa se una delle due si ingozza e l’altra fa la fame.
Una conferma esplicita di quanto appena affermato – che peraltro è addirittura banale, per chi abbia anche soltanto una superficiale infarinatura di teoria statistica – sta nel fatto che a fronte di un aumento del Pil, indicatore della ricchezza nazionale, la povertà è fortemente aumentata: lo si è letto di recente, sia nel Rapporto intitolato “Futuro anteriore” (1) pubblicato dalla Caritas il 19 Novembre (“Rapporto 2017 su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia“), sia in quello dello stesso Istat (2) pubblicato il 6 Dicembre (“Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie“).

Come si spiega, potrebbe chiedere il classico “uomo della strada” (o la, un tempo famosa, “casalinga di Voghera“), il fatto che, contemporaneamente, aumentino sia la ricchezza nazionale (il Pil) sia la povertà? E’ evidente: perché sussistono condizioni di forte disuguaglianza, che fanno sì che una parte ristretta della popolazione si veda aumentare reddito e ricchezza, ed un’altra parte – di entità numerica molto maggiore – non solo non riesca a mantenere le pur precarie condizioni in cui si trovava, ma subisce addirittura un ulteriore (e talvolta drammatico) impoverimento. Non è, perciò, letteralmente vero che sia “aumentata la propensione al risparmio“: questo è vero solo in termini complessivi ed indifferenziati, ma la verità “tangibile” è che se un ricco diventa ancora più ricco non è che vada a spendere il sovrappiù di ricchezza che gli è pervenuta, ma questo va ad aumentare il suo gruzzolo e non finisce nei consumi: e così si spiega anche il fatto che questi ultimi – i consumi – aumentino molto meno del “reddito disponibile della famiglie” (0,2% contro 0,7%, nei dati “grezzi” dell’Istat), che non è quello di tutte le singole famiglie ma deriva da quella media ottenuta nel modo descritto all’inizio (per divisione), ed in realtà quello 0,5% di differenza è nelle tasche o nei conti bancari di pochi. Renzi ed i suoi sodali di partito e di Governo lo sanno e si guardano bene dal dirlo, ma anche questo è ciò che l’uomo di Rignano definisce “risultato“, lungi dal rivendicarlo e perfino dal citarlo perché non gli conviene: ed è quello che non si può non denunciare come demagogia e malafede.

Esistono indicatori che descrivono come la ricchezza si ripartisce sull’intero corpo sociale, e non è che l’Istat non ne sia al corrente, ma li utilizza in altre occasioni, a fini più “analitici” in pubblicazioni di maggiore “finezza” statistica: si chiamano, per esemplificare, indice di Gini – il cui valore è compreso fra zero ed uno, ed il benessere sociale è tanto migliore quanto più basso esso è. Quindi, per “esultare” occorrerebbe che ad un aumento del Pil corrispondesse un abbassamento del valore dell’indice, segno che la ricchezza sarebbe andata a far migliorare le condizioni generali – oppure anche (ma non solo) la quantità di ricchezza affluita al “quintile” più ricco (il 20% della popolazione che si trova nelle condizioni migliori) raffrontata a quella intercettata dal “quintile” più povero: la differenza fra le due, se fosse evidenziata, mostrerebbe in modo lampante che – come sappiamo da tempo – i ricchi diventano più ricchi ed i poveri non migliorano o addirittura diventano più poveri, anche se i dati “aggregati” attribuiscono la crescita a tutti.

Ma questo la gente lo sa, anche se non ne ha piena cognizione teorica: quanti di noi possono dire che il proprio reddito sia aumentato? La massima parte, se interpellata, direbbe esattamente il contrario. Ergo: chi queste cose le sa, ma cerca di manipolarle “pro domo sua“, per costruirsi meriti in realtà inesistenti, è un baro: e perciò va punito, al momento opportuno. Ad esempio, il prossimo 4 Marzo.

(1) http://www.settimananews.it/wp-content/uploads/2017/11/Rapporto_Caritas2017_FuturoAnteriore_copertina.pdf
(2) https://www.istat.it/it/archivio/207031

Commenti