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La proposta Bonisoli di abolire le domeniche gratuite è un passo indietro

La cultura investe inevitabilmente molteplici aspetti del nostro vivere sociale, dalla scuola alla ricerca, passando per la formazione permanente, la creazione di valore etico e nazionale, la consapevolezza di appartenere ad un insieme umano che si relaziona mediante l’interesse per la musica, la lettura, l’arte e le tante altre manifestazioni della creatività. La cultura è anche memoria storica di cui oggi abbiamo tanto bisogno.
La cultura è impresa e attività economica in senso lato e contribuisce in proprio o mediante effetti sinergici alla crescita della ricchezza economica del paese. Le imprese culturali in Italia sono oltre 100 mila e rappresentano oltre il 6,4% del settore dei servizi, dato quest’ultimo coerente con la media europea. Il numero di occupati è di circa 602 mila unità, corrispondente al 2,7% del totale degli impieghi (fonte Eurostat). Più difficile stimare il contributo diretto e indiretto al PIL nazionale anche se alcuni studi (Symbola) si sono sbilanciati fino ad affermare che questo contributo si avvicina al 10%. Parlando di cultura risulta indispensabile tenere presenti questi elementi perché essi si condizionano reciprocamente e proposte che ne tengano conto possono sortire notevoli effetti benefici sia sul piano sociale che economico.

A titolo di esempio, alcuni anni fa il progetto Industria 2015 dell’allora Ministro Bersani prevedeva investimenti per un miliardo di euro a sostegno delle imprese che lavoravano nel campo delle attività culturali italiane, prevedendo forme di collaborazione nei progetti tra grandi e piccole e medie imprese. Il tema è completamente abbandonato. Eppure si potrebbero creare veri e propri “digital twins” dei siti archeologici e dei monumenti storici in modo da migliorare la loro tutela, il monitoraggio e la salvaguardia, proprio mediante tecnologie informatiche.

La questione posta all’ordine del giorno dal Ministro Bonisoli e relativo al tema della abolizione della prima domenica di accesso gratuito ai musei ha scatenato commenti entusiasti da chi ritiene che con quella iniziativa si svilisca il nostro patrimonio. Oggi su La Nazione il tedesco direttore degli Uffizi plaude all’idea del ministro, dichiarando che potrà liberamente introdurre due giornate gratuite, magari aggiustando le tariffe nei periodi di bassa stagione (esattamente come ora). Dico subito che si sono una serie di valutazioni sbagliate nelle dichiarazioni del ministro. Intanto, quel provvedimento voleva in qualche modo compensare l’abolizione della gratuità per gli over 65 che colpiva in maniera indiscriminata i pensionati a basso reddito. In secondo luogo, che voleva estendere il numero di visitatori italiani ai musei. Ma l’errore più grave è ritenere che si svilisca un museo perché è gratuito e che, conseguentemente, l’unico parametro per le scelte di politica culturale sia la quantità di entrate. Come a dire che il British Museum o la National Gallery sviliscono le loro collezioni perché sono ad ingresso gratuito, e che lo stesso fa il Prado a Madrid (gratuito dal lunedì al sabato dalle ore 18.00 alle ore 20.00 e la domenica e i giorni festivi dalle ore 17.00 alle ore 19.00).

Il patrimonio museale italiano vanta 4.976 musei e istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico nel 2015. Di questi, 4.158 sono musei, gallerie o collezioni, 282 aree e parchi archeologici e 536 monumenti e complessi monumentali (ISTAT, 2016).
I musei, circuiti museali e aree archeologiche statali sono 453 (2016), di cui 247 a pagamento e 206 gratuiti.
Sempre l’Istat ci dice che nel 2015, i musei e le altre strutture espositive a carattere museale hanno registrato la cifra record di 110,6 milioni di ingressi, ma anche che i visitatori tendono a concentrarsi su un numero limitato di destinazioni; tre sole regioni assorbono, infatti, il 52,1% dei visitatori: il Lazio (22,3%), la Toscana (20,6%), la Campania (9,2%), ma che, soprattutto, i primi 20 musei e istituti similari hanno attratto nel 2015 quasi un terzo dei visitatori (31,9%) mentre il 36,5% ha registrato non più di mille visitatori all’anno. Inoltre, il 67% degli italiani dichiara di non avere visitato un museo negli ultimi 12 mesi, con una concentrazione maggiore di visitatori in età scolare (under 20) e minore per gli over 60 (dal 70% all’88%). Il confronto con l’Europa è sconcertante: peggio di noi stanno Serbia, Turchia, Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cipro, Portogallo.

Se esaminiamo l’andamento dei visitatori tra il 2012 e il 2016 vediamo come quelli che il Ministero classifica come TOP 30 hanno un numero di visitatori che cresce molto di più dell’insieme degli altri musei. Gli interventi di questi anni hanno avuto sicuramente effetto sulla crescita dei visitatori. Ma nei musei non top 30, dopo un forte slancio nel primo biennio la crescita si è stabilizzata. Una crescita legata probabilmente proprio alla gratuità nella prima domenica del mese.

andamento visitatori (2012-2016)
anno indice altri altri top30 indice

top 30

2012 100 17.797.791 19.401.004 100,00
2013 100,98 17.972.355 20.452.232 105,42
2014 105,96 18.857.668 21.887.095 112,81
2015 114,49 20.376.073 23.416.089 120,70
2016 115,08 20.480.903 25.040.291 129,07

(elaborazione su dati Istat)

I visitatori dei musei top 30 sono oltre la metà del totale e crescono quasi il doppio degli altri. Le entrate rendono ancora più chiara la situazione: I top 30 incassano (lordo) euro 172.418.568 su 193.915.670 totali. Gli altri musei incassano (lordi) euro 21.497102 (erano 18.807.222 nel 2016)

La proposta del ministro Bonisoli ignora questi dati che più che sollecitare l’abolizione delle domeniche gratuite dovrebbe spingere a valutare se non sia opportuna estendere la gratuità totale a molti altri musei statali con una spesa relativamente modesta. Da una stima, con poco meno di 10 milioni di euro l’anno si potrebbero rendere gratuti tutti i musei con incassi inferiori ai 100 milioni di euro l’anno.
Se si pensa che il bonus cultura ha un costo di quasi 300 milioni si può comprendere come sostenere la gratuità dei musei non top 30 sia una ipotesi più che accettabile. Tanto più che in alcuni casi la gestione di un servizio di biglietteria erode in modo significativo gli incassi.

L’impressione è che il Ministro, più che ascoltare i direttori, abbia ascoltato i concessionari, sicuramente danneggiati dalle domeniche gratuite, e vicini alla cultura e alle esperienze del ministro stesso. Nel corso degli anni si è progressivamente modificato lo spirito della legge Ronchey. La legge si preoccupava di favorire il lavoro volontario e di monetizzare alcune produzioni del museo (foto, pubblicazioni etc.). La filosofia della esternalizzazione dei servizi ha determinato la nascita di imprese commerciali che, con gare di appalto indette dalla PA, si aggiudicano guardiania, bigliettazione, accoglienza, gestione dei bookshop e altri servizi. Un modello che è stato sottoposto anche a critiche e giudizi severi, ma che ha elementi positivi a condizione di leggerlo nella sua complessità e a patto di mantenere ferma (e forte) la funzione di tutela in capo allo Stato mediante personale indipendente e professionalizzato. Va ridato valore alle direzioni dei musei, ai funzionari, ai soprintendenti. Anche il personale addetto ai servizi diversi nei musei va potenziato in quelle strutture che, poiché gratuite, non possono avvalersi di gare per i servizi aggiuntivi non essendo “convenienti” per il soggetto privato. Ma il tema delle esternalizzazioni deve spingersi ad una riflessione sui diritti dei lavoratori delle imprese appaltatrici. Proprio la natura delle gare impone di garantire sicurezza e certezza del lavoro mediante apposite normative di tutela di questo personale (chiarendo il meccanismo delle clausole di salvaguardia). La gestione culturale del museo e degli eventi non può che restare in mano allo Stato e ai funzionari del Ministero, lasciando solo i servizi alle imprese appaltatrici.
A soprattutto non devono essere i concessionari a condizionare le politiche culturali dello Stato Italiano.

Siamo tutti consapevoli che la salute sia un diritto e che il costo debba essere per la maggior parte a carico dello Stato. Allo stesso modo la cultura, salute della mente, dovrebbe essere, laddove pubblica, prevalentemente gratuita. La gratuità è praticata in molti musei europei grazie a contributi statali adeguati, a una chiarezza di gestione condotta con metodi manageriali, a iniziative di marketing. Non penso che in Italia sia possibile importare il modello anglosassone, ma si possono sperimentare strade nuove volte a favorire la fruibilità del patrimonio e la crescita culturale del popolo italiano. Ma di tutto questo Bonisoli, studioso di tutt’altro non parla. L’incompetenza dei cinque stelle investe anche la cultura.

Foto in evidenza: In attesa di entrare agli Uffizi

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