Nella foto: Giorgio Gori e Nicola Zingaretti

Lazio e Lombardia: due scelte difficili e distinte per Liberi e Uguali, a prescindere dai padri nobili

E’ inutile girarci intorno: il passaggio politico dinanzi al quale si trova Liberi e uguali, e che ruota attorno alla possibilità di sostenere o meno i candidati del Pd Zingaretti e Gori alle elezioni regionali, è tutt’altro che agevole. Per superarlo bene servirebbero (uso una formula cara ad Aldo Moro) “ardimento e prudenza ad un tempo“. I corni del dilemma sono semplici: se la nuova formazione di sinistra dirà no e andrà senza alleati al voto regionale, gli si darà la colpa di aver favorito la destra e buttato al vento due possibilità di vittoria in due importantissime regioni italiane; se, invece, sceglierà l’alleanza senza se e senza ma (i tempi per una seria e concreta trattativa sono davvero ridottissimi) pagherà un prezzo rilevante al suo interno: tra i militanti, ma anche tra gli elettori. Come dire: sarà meno agevole tirarli fuori dal bosco e portarli a votare.
Nè aiutano le pressioni e gli appelli di commentatori politici e cosiddetti “padri nobili” su pur autorevoli giornali di area. Ci sono decisioni, quelle più difficili, che le forze politiche devono essere in grado di prendere nella propria solitudine e nelle sedi opportune. A decidere alla fine saranno i delegati di Liberi e Uguali delle due regioni, ma è chiaro che su quelle decisioni peseranno gli orientamenti espressi in questi giorni dai più autorevoli rappresentanti del gruppo dirigente: Bersani, Boldrini, Grasso, Rossi, Civati, Fratoianni, Speranza.

Personalmente sono convinto che un punto di equilibrio sia possibile trovarlo anche grazie a quelle che dovranno essere le opportune distinzioni. Spesso in politica distinguere è l’esatto opposto che dividere o dividersi. Lazio e Lombardia sono Regioni che hanno avuto una storia politica recente diversa così come i rispettivi candidati presidenti, pur essendo entrambi del Pd.
Cominciamo dal Lazio e da Zingaretti. Nel Lazio Zingaretti e la sua Giunta rappresentano una maggioranza che ha tenuto anche all’indomani della scissione d Mdp. Certo c’è stata e c’è qualche tensione in particolare per quanto riguarda qualche eccesso di attenzione ai privati nella Sanità. Ma nulla che non possa essere risolto in un serio confronto programmatico. Quanto alla concorrenza il problema sarà quello di contenere l’astensionismo e l’eventuale crescita dei grillini e, soprattutto, di battere il candidato della destra Maurizio Gasparri, con alle spalle una storia solida un po’ missina e un po’ berlusconiana, ma comunque battibile. Quanto a Zingaretti è un esponente del Pd che certamente non nasce con Renzi e le Leopolde, e che comunque ha mostrato sempre attenzione alle ragioni della coalizione e dei suoi componenti, compresi quelli più caratterizzati a sinistra. Naturalmente se questa attenzione fosse ancora mantenuta e fatta valere, evitando di privilegiare le più recenti acquisizioni dal fronte centrista, aiuterebbe a trovare un punto di equilibrio migliore.

Abbastanza più complicata è, invece, lo stato dell’arte per quanto riguarda la Lombardia e il suo candidato indicato dal Pd con il forte sostegno di Renzi e senza neanche il passaggio per le primarie, in altre occasioni enfatizzate come caratteristica fondante del nuovo renzismo. Su Gori torneremo. Prima guardiamo al quadro politico regionale, da tempo caratterizzato dalla prevalenza netta del Centrodestra prima con le giunte Formigoni (grande quantità e modesta qualità: chiedere ai radicali) e, infine, Maroni. la conferma del quale era data per scontata fino a quando pochi giorni fa il presidente uscente “offerse il gran rifiuto“, non sappiamo quanto per seguire il dantesco papa celestino e quanto perchè attratto da nuove strade politiche non coincidenti con le strategie del capo della Lega Salvini. E’ solo a questo punto che Gori il Pd e i padri nobili, ritenendo contendibile la regione, si sono scatenati in una seria di appelli per l’unità a sinistra.
E’ qui che il candidato Gori si presenta meno digeribile (politicamente naturalmente) per chi ha fatto una scissione tormentata e dolorosa e non può certo buttare a mare tutto o molto per aderire ad imbarazzati appelli last minute, tipo quello rivolto ieri dal candidato presidente a Bersani in una trasmissione televisiva. Come dire: nessuna ostilità pregiudiziale per il passato televisivo di Gori (Mediaset e Grande fratello), passi pure per il leopoldismo ultramilitante, ma quello slogan “Fare meglio” che presuppone che Formigoni e Maroni abbiano fatto almeno benino, è davvero, oltre che una sciocchezza comunicativa, una porta chiusa in faccia a chi si pone il problema di rappresentare la sinistra di governo, considerato come mezzo e non come fine.

Insomma una cosa è il Lazio, un’altra la Lombardia. Ha osservato, con la consueta acutezza Stefano Folli su Repubblica di oggi, che “il sì all’alleanza in Lombardia, sovrapponendosi alle elezioni generali, condizionerebbe tutta la campagna elettorale, facendo perdere credibilità alla formazione di Grasso come scelta alternativa al renzismo“. Folli aggiunge che è “un paradosso” che potrebbe favorire la vittoria leghista a Milano e in numerosi collegi uninominali. Possibile che sia così. Ma la responsabilità (in politica la parola colpa ha poco senso) è tutta di coloro che hanno imposto prima un’assurda legge elettorale senza voto disgiunto e poi scelto la strada dell’election day.
Naturalmente Liberi e Uguali deve fare il possibile per evitare ogni deriva da partito di opposizione a tutti i costi, deve mantenere la sua immagine, ben definita da Grasso, di forza politica di una sinistra di governo che considera questo un mezzo e non un fine. E quindi credo dovrà essere in grado di cogliere ogni possibilità di partecipare a soluzioni di governo laddove praticabili. Le alleanze serie e forti passano spesso per la capacità di distinguere. E la Lombardia e il Lazio non sono la stessa cosa.

Nella foto: Giorgio Gori e Nicola Zingaretti

Commenti