fassino_bersani

Per stare insieme ci vuole un perché

Unità, si dice: ma quale e per che cosa? Non con le idee di Renzi, evidentemente, altrimenti non si sarebbe fatta la scissione; e siccome Renzi non è tipo da rinunciare alle sue idee, e nemmeno da rivederle – tanto che, anche quando ha annunciato la sua “apertura” (chiamiamola così, come fanno tutti, anche se è anch’essa una parola vuota, se non le si danno contenuti chiari) per una coalizione di centrosinistra, ha specificato di non essere disposto ad “abiure” (e l’uso del vocabolo è significativo, essendo essa, secondo il dizionario Treccani, la “ritrattazione giurata mediante la quale si rinuncia per sempre a una dottrina fino a quel momento praticata, riconoscendola erronea ed eretica“: quindi gli atti governativi compiuti e le posizioni sostenute hanno per lui quasi il valore di una fede) – ne discende che nessun accordo è possibile con Renzi, e quindi (“congiunzione conclusiva“, in analisi grammaticale) con il Pd fino a quando in esso sarà Renzi a dettare i comportamenti politici, o comunque saranno quelle idee a prevalere in quel partito politico.

Questa è, puramente e semplicemente, la ragione per la quale Art.1-Mdp e le altre forze del costituendo soggetto della sinistra hanno dichiarato che, in questa fase, nessun accordo è possibile con il partito guidato da Matteo Renzi. Perché ci sono ragioni di merito ad impedirlo, che riguardano giudizi sul passato (in primis su quanto realizzato nei famosi, o famigerati, “1000 giorni” di governo renziano) e conseguentemente programmi per il futuro, che esigono non solo misure nuove da assumere ma anche, ed in grandissima parte, correzioni – parziali o addirittura totali – a quanto è stato fatto in precedenza.

D’altra parte sono i fatti – i numeri – a dimostrare che, anche a prescindere da motivazioni ideologiche che si possono avere o non avere (ad esempio: che l’abolizione dell’art. 18 che non protegge più i lavoratori da licenziamenti individuali non motivati da “giusta causa“, esponendoli perciò a rappresaglie o ricatti o ostilità di qualunque tipo, sia una misura accettabile oppure no), è il risultato occupazionale, anche rapportato – come è giusto che sia, perché tutto è relativo in economia – all’ingente costo economico che la finanza pubblica ha sostenuto, è stato assolutamente negativo, se nell’ultimo anno solo il 7% (settepercento) dei contratti di lavoro è stato di tipo “permanente” (per quello che il termine vale: vuol dire, Jobs Act alla mano, che può essere annullato dal datore di lavoro quando vuole, pagando un po’ di soldi e nemmeno tanti), mentre il restante 93% ha dato luogo a contratti “a termine” (precari, a chiamata, a finta partita-iva, a voucher, a part-time involontario, e tutta la varia ed infernale casistica che le leggi sul lavoro rendono possibile).

Un altro esempio, fra i molti possibili: a parte l’ondata di ostilità, una vera “sollevazione“, che la legge denominata “La Buona scuola” (la legge n° 107 del 2015) ha sollevato fra gli insegnanti attuali e futuri, essa contiene disposizioni, come “l’alternanza scuola-lavoro” – che ne “è una delle innovazioni più significative“, come recita un testo esplicativo del Ministero – obbligatoria ed economicamente non regolata, che ha dimostrato di dare luogo ad inaccettabili fenomeni di sfruttamento da parte delle aziende (oltre al fatto che in molti casi nessun addestramento viene realmente fornito, nonostante essa dovrebbe servire a realizzare, testualmente, “la più efficace politica strutturale a favore della crescita e della formazione di nuove competenze“) ai danni degli studenti che vi sono sottoposti, come molti testi di grande serietà e competenza hanno ampiamente dimostrato (se ne è parlato e scritto spesso, negli ultimi tempi).

Ed ancora: la tanto decantata (da alcuni: Renzi &C) “ripresa” economica, che è costata anch’essa ingenti risorse, ha prodotto risultati molto inferiori a quelli ottenuti da altri Paesi europei (lo ha rilevato la stessa Banca d’Italia), non ha generato un aumento significativo degli investimenti, che sono ancora fermi al 75% del loro valore nel 2007 (ancora la Banca d’Italia); e c’è stata, invece, una crescita allucinante del rischio di povertà ed esclusione, oltre all’aumento della povertà vera e propria (lo ha scritto nero su bianco la Caritas nel suo recente Rapporto), che sono i risultati socialmente più catastrofici che un Governo possa generare. Ed altro ancora.

Tutto questo dimostra che molto (anche se non tutto) di quanto è stato fatto non è stato soltanto insufficiente, ma che è stato sbagliato e richiede, perciò, con urgenza, delle modifiche sostanziali quando non addirittura dei rifacimenti totali (è il caso del Jobs Act che Renzi considera un suo fiore all’occhiello, tanto da aver detto, pochi giorni fa, che “è così buono che ce ne vorrebbe un altro“, e basterebbe già questo; ma anche della “Buona scuola“; come del decreto “Sblocca Italia“, giustamente ribattezzato “Rottama Italia“; ecc.). Inutile e pietoso richiamare alcuni provvedimenti positivi (la legge “dopo di noi“, o quella sulle unioni civili, oppure altro), che non cancellano e nemmeno attenuano la negatività di quanto è stato richiamato e di altro ancora che potrebbe essere citato, e che più fortemente viene avvertito a livello sociale.

La prova lampante dell’insoddisfazione dei cittadini è duplice: da un lato la disaffezione al voto (la percentuale dei votanti ormai scesa quasi sempre intorno o al di sotto del 50%, con casi clamorosi come quella del 37% dell’Emilia Romagna – la regione “rossa” per eccellenza -, alle regionali del Novembre 2014) e, dall’altra, i risultati puntualmente decrescenti – in valore assoluto dei voti ed in percentuale, in ognuna delle consultazioni elettorali che ci sono state – ottenuti dal Pd dopo il caso del tutto particolare delle europee del Maggio 2014. In quelle occasioni, cinque volte su cinque, è andata così, nonostante non vi fossero ancora state scissioni conclamate e “l’unità” fosse operante (sono stati i cittadini a scindersi, o rifiutandosi di votare o votando contro).

Il compito che deve porsi la sinistra, ed il centro-sinistra o centrosinistra che sia, e che costituisce l’obiettivo dichiarato di Art.1-Mdp, è in primo luogo quello di recuperare l’interesse dei cittadini di sinistra ed il loro consenso: a questo non serve un’unità di persone o di soggetti politici senza dei contenuti precisi e caratterizzanti. Se questa fosse l’unità da realizzare, lo scopo sarebbe fallito in partenza: per stare insieme ci vuole un perché, per dirla con il noto cantautore, e deve essere chiaro e condivisibile. Perciò non servono né “pontieri“, né “padri” più o meno nobili, né “garanti” di patti inesistenti: servono programmi atti a realizzare politiche diverse ed alternative – a cominciare da quelle fiscali – rispetto a quelle degli ultimi anni: quando e se il Pd se ne renderà conto e sarà effettivamente disponibile se ne potrà riparlare. Prima di allora, essere uniti non servirebbe a nulla, il rimedio sarebbe peggiore del male e verrebbe giustamente punito come operazione puramente politicista dai cittadini, che di parole vuote e di finzioni non ne possono più.

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