La Cei cerca di «trovare una serie di indicazioni come fatto da altre Conferenze episcopali in altre nazioni, per esempio in Inghilterra, Irlanda, Germania, Stati Uniti, Francia, Spagna, Australia, dove si sono date strumenti» per il contrasto agli abusi sessuali sui minori. Lo spiega monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna nonché psicologo, che, come ha reso noto ieri il segretario della Cei Nunzio Galantino guida un “gruppo di lavoro” per la prevenzione della pedofilia e sarà anche il «referente» italiano della Commissione pontificia per la Tutela dei Minori guidata dal cardinale statunitense Sean O’Malley.

«La Segreteria della Cei», ha ricordato Ghizzoni intervistato ai microfoni della Radio Vaticana, «già in anni passati si era occupata della questione degli abusi su minori, aveva costituito gruppo di studio e prodotto anche indicazioni via via recepite. Poi sono uscite le linee guida della Cei, che però si sono fermate soprattutto su questioni giuridiche e canoniche. Ora il mandato che il gruppo di lavoro ha ricevuto è di elaborare indicazioni che potrebbero servire a tutte le diocesi italiane per darsi una serie di orientamenti e comportamenti concreti da pubblicare, da rendere noti in tutti i propri ambienti: scuole cattoliche, oratori, campi sportivi legati alle parrocchie, insomma in tutti gli ambienti in cui ci sono minorenni, sia per aiutare loro a difendersi sia per creare cultura attenta ai possibili abusi che possono esserci in questi ambienti e li respinge».

«Abbiamo già studiato alcune linee guida, focalizzate a prevenire piuttosto che a correre ai ripari dopo», spiega l’arcivescovo. Ad esempio, «quali comportamenti adottare negli ambienti dove i ragazzi fanno sport o si ritrovano per il catechismo o la formazione, che tipo di comportamenti devono avere sacerdoti, catechisti, animatori, allenatori, quali comportamenti devono favorire e quali impedire perché si possano sviluppare abusi sui minori. Sono anche regole concrete di comportamento, richieste di autorizzazione ai genitori per una attività, coinvolgimento degli adulti laddove si fanno attività con i minori di modo che ci siano due o più adulti. Il tema della prevenzione - sottolinea Ghizzoni - non riguarda solo il personale ecclesiastico al suo interno ma anche tutela dei minori rispetto ad abusi che possono essere compiuti da altri fuori».

«In qualche nazione, penso ad esempio all’Inghilterra, c’è una serie di indicazioni date dallo Stato che tutelano i minori in molte attività. Noi non abbiamo questo a livello civile, in qualche modo la Chiesa anticiperebbe una serie di regole e comportamenti che potrebbero poi essere imitate anche dalla società civile».

Monsignor Ghizzoni ha detto che non ci sono dati precisi in merito agli abusi sui minori: «In Italia non abbiamo cifre così sicure o precise. In altri paesi ci sono statistiche dettagliate, in Italia questo lavoro non è stato ancora fatto. Anche per un penalista in tribunale raccogliere dati su questi casi è complicato. Non c’è una elaborazione dati che sarebbe molto utile anche agli altri, non solo a noi».

Cosa rende vulnerabili minori, famiglie? «A livello molto superficiale posso dire che gli abusi sono sempre avvenuti, che un tempo erano molto più coperti da parte di tutti, e che oggi vengono di più allo scoperto. Il fenomeno sembra diventato anche molto più rilevante. Certo si tratta spesso di famiglie dove entrambi i genitori lavorano, o dove ci sono grosse difficoltà, magari i genitori sperati... Poi aggiungerei la questione del digitale: i ragazzi oggi fin dalla prima adolescenza hanno in mano computer e cellulare e attraverso questi strumenti possono essere indotti, influenzati e forse in qualche modo spinti a fare esperienze strane o particolari, possono essere adescati, quindi c’è un pericolo in più che prima non esisteva».

Quanto alla questione di fondo, cioè perché si compiono atti di pedofilia, «noi - precisa Ghizzoni - abbiamo in generale non pedofilia ma efebofilia: la stragrandissima maggioranza di questi abusi, non sono in Italia, avvengono, parlando dei nostri ambienti ecclesiastici, non con bambini ma con adolescenti o preadolescenti, in maggioranza maschi. C’è dietro una patologia, una immaturità molto molto grave delle relazioni affettive, si può forse anche dire che c’è una rilassatezza o decadenza morale in un certo numero di persone che compiono questi atti per cui diventa più facile cadere in questi abusi perché non c’è una vita spirituale morale corretta o sufficientemente alimentata. Poi ci sono anche persone che invece non hanno una patologia così grave, ma nella vita di un piccolo o di un adolescente basta un abuso una sola volta per lasciargli nella memoria una traccia molto negativa. Bisognerebbe evitarlo ad ogni costo».

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