Un modello di città «che non ammette i sensi unici di un individualismo esasperato», che «dissocia l’interesse privato da quello pubblico» e «non sopporta nemmeno i vicoli ciechi della corruzione, dove si annidano le piaghe della disgregazione». Una città che «non conosce i muri della privatizzazione degli spazi pubblici, dove il “noi” si riduce a slogan, ad artificio retorico che maschera l’interesse di pochi». Papa Francesco condivide il suo “sogno” – nella speranza che possa trasformarsi in realtà – con i membri dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia) ricevuti in udienza in Sala Clementina, in Vaticano.

Sono presenti 200 sindaci delle città italiane impegnati nell’accoglienza dei migranti e il Papa rivolge loro alcune parole a braccio: «Comprendo, comprendo eh, il disagio di molti vostri cittadini di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati. Esso trova spiegazione nell’innato timore verso lo “straniero”, un timore aggravato dalle ferite dovute alla crisi economica, dall’impreparazione delle comunità locali, dall’inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza». Tale disagio, secondo il Pontefice, «può essere superato attraverso l’offerta di spazi di incontro personale e di conoscenza mutua». Ben vengano allora «tutte quelle iniziative che promuovono la cultura dell’incontro, lo scambio vicendevole di ricchezze artistiche e culturali, la conoscenza dei luoghi e delle comunità di origine dei nuovi arrivati».

Esse, però, vanno accompagnate e tutelate da «una politica e un’economia nuovamente centrate sull’etica: un’etica della responsabilità, delle relazioni, della comunità e dell’ambiente», raccomanda il Papa. «Abbiamo bisogno di un “noi” autentico, di forme di cittadinanza solide e durature. Abbiamo bisogno di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, che non lasci ai margini chi arriva sul nostro territorio ma si sforzi di mettere a frutto le risorse di cui ciascuno è portatore».

Solo così «la politica può assolvere a quel suo compito fondamentale che sta nell’aiutare a guardare con speranza al futuro» assicura Francesco. Che si «rallegra» nel sapere che molte delle amministrazioni locali rappresentate nell’udienza in Vaticano «possono annoverarsi tra i principali fautori di buone pratiche di accoglienza e di integrazione, con esiti incoraggianti che meritano una vasta diffusione». Il Papa ricorda ad esempio l’arrivo degli albanesi a Bari: «Mi auguro che tanti seguano il vostro esempio» dice, in modo da far «emergere le energie migliori di ognuno, dei giovani prima di tutto. Che non rimangano soltanto destinatari di pur nobili progetti, ma possano diventarne protagonisti; e, allora, non mancherete di raccoglierne anche i benefici».

Con una metafora Bergoglio spiega poi che non serve creare città a «doppia velocità», con «autostrade per ipergarantiti» e «strettoie per i poveri e i disoccupati». Piuttosto è necessario «un cuore buono e grande nel quale custodire la passione del bene comune». Anche perché, avverte, la società umana può reggersi «soltanto quando poggia su una solidarietà vera, mentre laddove crescono invidie, ambizioni sfrenate e spirito di avversità, essa si condanna alla violenza del caos». Esattamente ciò che accadde ai costruttori della Torre di Babele, «destinata a restare nella memoria dell’umanità come simbolo di confusione e smarrimento, di presunzione e divisione, di quella incapacità di capirsi che rende impossibile qualsiasi opera comune».

L’invito è pertanto «ad un impegno umile e quotidiano verso il basso» che possa controbilanciare «uno slancio presuntuoso verso l’alto»: «Non si tratta - spiega il Vescovo di Roma - di alzare ulteriormente la torre, ma di allargare la piazza, di fare spazio, di dare a ciascuno la possibilità di realizzare sé stesso e la propria famiglia e di aprirsi alla comunione con gli altri».

Prima di concludere Bergoglio parla personalmente a tutti i sindaci «come fratello» e, indicando in «prudenza, coraggio e tenerezza» le tre qualità ideali per amministrare le città, li sollecita a «frequentare le periferie, quelle urbane, quelle sociali e quelle esistenziali». «Il punto di vista degli ultimi - ricorda - è la migliore scuola, ci fa capire quali sono i bisogni più veri e mette a nudo le soluzioni solo apparenti. Mentre ci dà il polso dell’ingiustizia, ci indica anche la strada per eliminarla: costruire comunità dove ciascuno si senta riconosciuto come persona e cittadino, titolare di doveri e diritti, nella logica indissolubile che lega l’interesse del singolo e il bene comune». Perché «ciò che contribuisce al bene di tutti concorre anche al bene del singolo».

Abbiate «familiarità col popolo», conclude Papa Francesco. «Se un sindaco è vicino la città va avanti e diventerà anticipo e riflesso della Gerusalemme celeste. Sarà segno della bontà e della tenerezza di Dio nel tempo degli uomini». Al termine dell’udienza, al Papa sono stati consegnati in dono una stola, alcuni piatti decorati a mano, un cesto con prodotti tipici piemontesi e un turbante, tutti opera di richiedenti asilo e rifugiati impegnati in realtà lavorative che fanno parte delle reti territoriali.

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