Settantatré anni dopo, il mistero è ancora tale. E come ogni mistero che si rispetti, con il passare del tempo, anziché chiarirsi si popola di ombre e spifferi: tanto che la sala delle conferenze della biblioteca di Aosta è piena, quando Patrizio Vichi presenta il suo video-documentario “Émile Chanoux: fu suicidio o omicidio?”. E in poco tempo il punto interrogativo scompare: perché per Vichi (e per gran parte della platea, che annuisce) di uccisione si tratta: “Troppe cose - spiega - non funzionano, troppe testimonianze sono state tralasciate”. Quindi “fino a vera prova contraria, il notaio fu vittima di un omicidio”.

È il 18 maggio 1944 quando Chanoux viene prima arrestato, poi interrogato e quindi portato nella caserma di via Frutaz. Da qui, i racconti iniziano a discordare. La versione a lungo data per vera è che il notaio strappa una striscia di coperta e la usa per impiccarsi: così viene trovato, suicida, la mattina successiva.

Per Vichi, però, la verità è un’altra. “Non sono uno storico - spiega Vichi - ma un lettore curioso. Scelgo di trattare quello che mi appassiona: questo è un soggetto che credo sia importante, e la storia può e deve essere riletta e reinterpretata”. Dopo aver messo le mani avanti, però, Vichi prosegue deciso, perché senza mezzi termini dice che “sin dal momento della morte vennero messi in atto comportamenti che miravano in tutti i modi a nascondere ciò che era realmente accaduto quel 18 maggio 1944. Tali atteggiamenti continuarono poi nel corso degli anni, quasi come se ci fosse stato un ’patto’ tra alcuni appartenenti alla questura e alla procura aostane dell’epoca”: un patto che doveva negare che Chanoux venne prelevato dalla caserma, torturato e ucciso.

Gli indizi raccolti da Vichi sono riuniti anche in una brochure (disponibile adesso alla libreria À la page di Aosta, a 10 euro) e compaiono nelle immagini del documentario. Ci sono la testimonianza di Idelma Pedron, che dice di aver visto Chanoux picchiato fino a non reggersi in piedi; il tutto in contrapposizione con l’autopsia fatta due settimane dopo che, invece, non parla di segni di violenza e documenta la morte per impiccagione. Ci sono le discordanze tra gli orari dichiarati di ritrovamento del corpo; ci sono le “testimonianze contraffatte” del processo di Vercelli del 1946 contro l’ex questore fascista di Aosta. Abbastanza, secondo Vichi, da evidenziare un accordo di silenzio.

Il dibattito continua, con l’annuncio di un libro di Elio Riccarand (in uscita nelle prossime settimane) che propone la versione opposta. La domanda che resta in ogni caso aperta è perché, per quasi quarant’anni, nessuno si sia messo a indagare su che cosa sia successo: la storiografia locale esaltava Chanoux, ma dava per buona la tesi del suicidio. Qualcosa di strano, perché la versione del “martirio»”per mano fascista avrebbe aggiunto ancora lustro al mito del notaio. Anche qui, però, Vichi ha la propria risposta: “La tesi del suicidio venne diffusa dagli ambienti ecclesiastici, che temevano che le idee di Chanoux. C’era stato l’ordine di predicare contro quel pensiero: si temeva che la tesi dell’annessionismo alla Francia prendesse piede. E dire che il notaio si era suicidato contribuiva a ridimensionare la sua figura”.

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