Giovanni Amato, 60 anni, nato in provincia di Cosenza, residente in provincia di Alessandria, piccolo imprenditore nel settore dell’autotrasporto: è questa l’identità dell’uomo arrestato la settimana scorsa con l’accusa di prostituzione minorile.

Secondo quanto accertato dagli investigatori della Squadra Mobile di Alessandria e come è contestato nell’ordinanza di custodia cautelare che da giovedì scorso lo ha condotto in cella al Don Soria, sono almeno tre le ragazze minorenni – attualmente tra i 16 e i 17 anni – con cui, dal 2015 al 2017, avrebbe avuto incontri a pagamento a scopo sessuale (i rapporti erano retribuiti da 150 a 600 euro a volta).

La prima l’aveva conosciuta su Facebook, dove l’uomo aveva aperto un profilo in cui si spacciava per quarantenne molto generoso. L’incipit era infarcito di lusinghe e complimenti, cui seguiva la richiesta dello scambio dei numeri telefonici e, da quel momento, lo scambio fitto di chat con messaggi ritenuti dagli investigatori «compromettenti». Allo scopo, Amato avrebbe utilizzato un cellulare «segreto» che custodiva in un cassettino dell’auto. La polizia lo ha sequestrato, insieme a un altro telefonino e ai computer. Ora gli investigatori stanno analizzando i contenuti, anche per verificare se, oltre alle tre ragazzine identificate e ascoltate durante le indagini, altre abbiano avuto contatti con il sessantenne.

Gli incontri avvenivano principalmente in un camper di cui l’imprenditore aveva la disponibilità oppure in alberghi della provincia, nei quali lui aveva fornito le generalità, non quelle delle ragazze. Anche questo è un aspetto al vaglio degli inquirenti.

Dopo aver incontrato la prima ragazza, avrebbe insistito per conoscere anche delle sue amiche; con altre due, secondo quanto appurato dalla polizia, ha avuto incontri intimi a pagamento.

Il punto di svolta è stata la confidenza di una delle minorenni a una insegnante della scuola superiore di Alessandria che frequentano. Si era quasi alla fine del passato anno scolastico. La prof è andata direttamente in questura e ha raccontato quanto aveva appreso. Da quel momento, era maggio, sono iniziate le indagini.

Anche la polizia ha aperto, temporaneamente, un finto profilo di Facebook, utilizzando la fotografia di una modella maggiorenne, ma che sembra più giovane. Da lì sono partite richieste di «amicizia» a persone che avevano l’«amicizia» con Amato. Nel giro di poco tempo, anche il sessantenne è entrato “in amicizia” con il finto profilo partendo dall’abboccamento rituale: «Sono una persona molto generosa».

Perché lo faceva? Lui, nell’interrogatorio di garanzia alla presenza del suo difensore Giuseppe Lanzavecchia, ha ammesso di aver avuto rapporti con una sola delle ragazze della quale si era invaghito. Secondo gli accertamenti della polizia, l’uomo avrebbe usato la parola «passatempo» per definire il bisogno di cercare ragazze giovani con cui intrattenersi. Da qui il titolo attribuito all’inchiesta: «Passatempo».

C’era qualche dubbio che le ragazze potessero essere scambiate per maggiorenni? Il capo della Squadra mobile della questura di Alessandria, Marco Poggi (nella foto), che ha coordinato le delicatissime indagini, lo esclude: «Sembrano bambine». E loro perché lo hanno fatto? Sono di famiglie perbene, non ricche, ma molto laboriose e oneste. Qualcuna delle ragazze, con i soldi ricevuti da Amato, avrebbe aiutato anche la famiglia in piccole spese domestiche. Altri soldi venivano usati per comprare hashish.

Una delle studentesse avrebbe anche provato a interrompere gli incontri, ma sarebbe stata minacciata: «Farò vedere alla tua famiglia i messaggi della chat e certe foto…». L’insegnante capace di ascoltare ha interrotto la catena.

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