Visto da Bergamo questo referendum iperconsensuale del 22 ottobre mette d’accordo tutti: destra e sinistra, Regione e Comune, vecchi leghisti secessionisti e nuovi leghisti sovranisti, tutti insieme appassionatamente per l’autonomia della Lombardia. Magari un po’ meno laici e cattolici, perché finora l’unica voce che stecca nel coro è quella della Curia, in una città dove la Chiesa conta ancora, e molto.

In realtà, dietro l’unanimità le differenze restano. Scontata la vittoria del sì, le incognite sono in sostanza due. La prima, se la gente andrà a votare. La seconda, l’uso politico che si farà del referendum, non solo nella futuribile trattativa con Roma per indurla a essere un po’ meno «ladrona», ma soprattutto in vista delle regionali prossime venture. Ora, nonostante la molta pubblicità che Maroni sta facendogli, non sembra che a Bergamo il referendum scaldi molto i cuori. Di certo, molto meno dei recenti insperati exploit dell’Atalanta. Dietro il bancone di Balzer, il caffè storico, cadono dalle nuvole: referendum, quale referendum? E il sondaggio fai-da-te sul non meno storico Sentierone, la passeggiata dello struscio, dà per informati che si vota sei bergamaschi su dieci, con cinque intenzionati anche a farlo. Il famoso 50% che i leghisti indicano come soglia del successo, anche se in Lombardia, a differenza che in Veneto, il quorum non c’è.

«Il problema è che la sciura Maria si informa soprattutto dalla tivù, e la tivù ne parla poco», si lamenta il tosto segretario provinciale della Lega, Daniele Belotti. I leghisti sono in una posizione ambivalente. Per qualcuno nelle valli la vittoria del sì sarebbe il prologo a una secessione alla catalana. I dirigenti sono più realisti. Prendete Giovanni Malanchini, sindaco di Spirano, 5 mila anime nella Bassa, cavaliere dell’Ordine della polenta (sì, esiste davvero): «Io ho esposto la bandiera catalana e non dimentico che sulla mia tessera c’è scritto Lega Nord per l’indipendenza della Padania. La questione settentrionale resta aperta. Ma per la prima volta in trent’anni possiamo votare per l’autonomia, e in un’elezione vera, non nei gazebo. Un’occasione da non perdere. Semmai, bisogna spiegare bene agli anziani come funziona il voto elettronico». Insomma, un po’ di autonomia (forse) non sarà il federalismo ma, come si dice da queste parti, «piuttosto che niente è meglio piuttosto».

Sul carro del sì è salito anche il Pd, trascinato da Giorgio Gori, ex televisionaro, attuale sindaco di Bergamo e futuro sfidante di Maroni per il Pirellone. «In realtà come al solito il Pd è diviso - accusa Belotti -. Metà partito non sta facendo campagna per paura che un successo del referendum tiri la volata a Maroni». Gori ovviamente non ci sta: «Maroni ha voluto un referendum di cui non c’era bisogno a ridosso delle regionali? Benissimo. Come a poker, andiamo a vedere. Specie l’affluenza. Fosse inferiore al 50% o a quella del Veneto, non credo che Maroni potrebbe cantare vittoria». E se invece fosse alta? «Beh, avremmo vinto entrambi. La posizione del Pd è chiara. Noi condividiamo gli obiettivi del referendum, anche se dire che così metà dei 54 miliardi di residuo attivo della Lombardia resteranno in regione è pura fantascienza. Non siamo d’accordo sullo strumento del referendum. Ma, visto che c’è, votiamo sì».

In tutto questo, è esploso come una bomba il documento dell’Ufficio per la Pastorale Sociale della Diocesi, scritto dal popolarissimo don “Chicco” Re, il prete in Harley. Spiega che il referendum «avrà solo effetti politici», che è l’inizio di un percorso incerto e che chiede agli elettori «quasi una delega in bianco». «Quando tutti sono d’accordo si rischia di non vedere i problemi che pure ci sono. Se si fa luce su qualcosa, se ne vedono anche le ombre», chiosa elegante e curiale don Giulio Della Vite, segretario generale della Diocesi. E a questo punto ognuno tira l’acqua santa al suo mulino. Il leghista Belotti: «La Curia ha perso il contatto con la gente e ha scavalcato a sinistra il sindaco di sinistra. Ma per fortuna non tutti i preti la pensano così. Molti parroci sono per il sì». Contrattacco di Gori: «Macché scavalcato. La Curia ha semplicemente smontato la fuffa propagandistica di Maroni e messo il referendum nella giusta prospettiva». Referendum consensuale, si diceva. Beh, fino a un certo punto.

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