La dignità del bambino non può essere «uno slogan» ed è necessaria una visione complessiva dell’infanzia, così come non si può tutelare i minori ricorrendo alle sole leggi, perché bisogna prendere in considerazione le diversità delle culture, che sono come «leggi più profonde che le persone seguono da secoli» per arrivare a mettere in pratica certi valori universali. Ne è convinto il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, che questa mattina è intervenuto alla plenaria del congresso sulla pedofilia online in corso alla Pontificia Università Gregoriana. 

Sempre questa mattina è intervenuto anche un porporato africano, l’arcivescovo di Nairobi (Kenya) John Njue. Domani a mezzogiorno i partecipanti consegneranno a papa Francesco la dichiarazione finale del congresso al quale partecipano uomini di Chiesa, accademici, politici, rappresentanti delle forze dell’ordine, esponenti delle grandi aziende del web e appartenenti ad altre religioni.

«Mentre tutti nel mondo parlano della dignità del bambino, dicono “quanto è prezioso il bambino”, che “il bambino è il nostro futuro”, mi domando se c’è una visione vincolante, una visione onnicomprensiva sul bambino», afferma il Cardinale filippino in una pausa dei lavori. «Come si può dire che il bambino è il futuro e permettergli di essere vittima di sfruttamento online? Come è possibile dire che il bambino ha dignità e pagare per sfruttarlo? Può esserci un conflitto tra lo slogan e la realtà. Ecco, non voglio che la dignità del bambino sia solo uno slogan. Possiamo per favore essere onesti, specialmente nelle nostre diverse culture e nelle nostre diverse religioni, e domandarci: cos’è un bambino? Una volta ero in un forum e c’era una nonna il cui nipote, il figlio della figlia che era nel grembo e aveva cinque mesi, è morto dopo un problema di parto prematuro. E un dottore ha detto: ma non era un essere umano, aveva solo cinque mesi, e la donna ha detto: ma certo, è mio nipote! E il dottore insisteva, no, non è una persona umana. Allora domandiamoci: cos’è un bambino? Non lo riduciamo a slogan. Siamo franchi: domandiamoci qual è la nostra visione complessiva».

Lei pensa che l’Asia, non solo le Filippine, sia ben rappresentata in questo congresso e sia sensibile al tema?

«Ho visto alcune persone dall’aspetto asiatico… quanto al numero di persone che intervengono, suppongo che non siano molti nel congresso, ma forse nei workshop, dove purtroppo non posso partecipare, l’esperienza dai diversi continenti può essere espressa meglio».

Si è detto che forse la ragione di mancanza di rappresentazione in Asia e Africa è che in quei continenti non si è raggiunto lo stesso livello di discussione che in occidente: cosa si può fare per aumentare il livello di consapevolezza e di discussione?

«Penso che non siano sufficienti le leggi, serve un dialogo interculturale e interreligioso, perché una legge è una cosa ma per capire la legge e applicarla è necessario capire la cultura. Lo credo davvero. A volte è faticoso ma le persone delle diverse culture devono potersi esprimere, articolare, con franchezza, su come la propria cultura influenzi la visione che si ha dei bambini, cosa è un comportamento abusivo, cosa non è abusivo. Non si tratta solo di una questione legale, ma anche culturale. E forse il modo in cui ci muoviamo in avanti. Anche il cardinale Njue ha detto questa mattina che in Africa ci sono atteggiamenti culturali che devono essere affrontati, e non basta che ci siano delle leggi perché le persone le mettano in pratica. Ci potrebbero essere culture che giustificano la molestia dei bambini, e bisogna affrontare la questione prendendo in considerazione la cultura. C’è un valore universale, che la legge può tutelare, ma per arrivare alla sua applicazione bisogna passare dalla cultura, che è una legge più profonda che le persone seguono da secoli».

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