Chi trascura il senso di appartenenza, chi sceglie di abbandonare concretamente o col pensiero la propria comunità, è «ammalato». Invece chi ritrova le radici e non cade nell’«auto-esilio psicologico», è una persona gioiosa e forte. Parola di papa Francesco nella Messa di questa mattina a Casa Santa Marta.

Il Pontefice – riporta Radio Vaticana - invita a cercare le proprie origini basandosi sulla Prima Lettura di oggi, 5 ottobre 2017, dal Libro di Neemia, in cui si legge di «una grande assemblea liturgica»: è il popolo radunato alla Porta delle Acque, a Gerusalemme. È la scena della fine di una vicenda durata più di 70 anni - nota il Vescovo di Roma - quella della deportazione a Babilonia; è una storia di pianto per il popolo di Dio. Dopo la caduta dell’impero babilonese per opera dei persiani, il re persiano Artaserse vede Neemia, suo coppiere, triste mentre gli versa il vino: allora inizia a dialogare con lui. Neemia libera la sua nostalgia per Gerusalemme, con le lacrime che gli rigano il volto: vorrebbe tornare nella sua città.

Papa Bergoglio cita il Salmo che afferma: «Lungo i fiumi di Babilonia sedevano e piangevano». Poi rivolge un pensiero alla «nostalgia dei migranti, lontani dalla Patria», che «vogliono tornare».

Neemia si appresta a tornare e riportare il popolo a Gerusalemme. È «un viaggio difficile», perché «doveva convincere tanta gente» e portare l’occorrente per ricostruire la città, «ma soprattutto era un viaggio per ri-trovare le radici del popolo». Infatti dopo molto tempo «si erano indebolite». Ma non perdute.

Ricercare le proprie le radici «significa riprendere l’appartenenza a un popolo». Perché «senza le radici non si può vivere: un popolo senza radici o che lascia perdere le radici, è un popolo ammalato».

Per Francesco «una persona senza radici, che ha dimenticato le proprie radici, è ammalata». Bisogna «ritrovare, riscoprire le proprie radici e prendere la forza per andare avanti, la forza per dare frutto e, come dice il poeta, “la forza per fiorire perché – dice – quello che l’albero ha di fiorito viene da quello che ha di sotterrato”. Proprio quel rapporto tra la radice e il bene che noi possiamo fare».

In questo percorso a ritroso, però, ci sono «tante resistenze: non si può, ci sono difficoltà»; spiega il Papa: «Le resistenze sono di quelli che preferiscono l’esilio, e quando non c’è l’esilio fisico, l’esilio psicologico: l’auto-esilio dalla comunità, dalla società, quelli che preferiscono essere popolo sradicato, senza radici. Dobbiamo pensare a questa malattia dell’auto-esilio psicologico: fa tanto male. Ci toglie le radici. Ci toglie l’appartenenza».

Nella Scrittura si legge che il popolo tira dritto e riesce a ricostruire: allora si raduna per «ripristinare le radici», ossia per ascoltare la Parola di Dio, che lo scriba Esdra legge. E piange, il popolo, ma non come a Babilonia: è «il pianto della gioia, dell’incontro con le proprie radici, l’incontro con la propria appartenenza». Terminata la lettura di Esdra, Neemia li invita a festeggiare. È la festa di chi ha trovato le proprie radici: «L’uomo e la donna che ritrovano le proprie radici, che sono fedeli alla propria appartenenza, sono un uomo e una donna in gioia, di gioia e questa gioia è la loro forza».

Il Papa consiglia di chiedersi se non si lasci «cadere il ricordo del Signore», se si incominci un cammino per ritrovare le proprie radici oppure si preferisca l’auto-esilio psicologico, chiusi in se stessi. Francesco sottolinea che se si ha «paura di piangere», si ha «paura di ridere»; invece, quando si lacrima a causa della tristezza, dopo si piangerà esultando. Ecco perché occorre domandare la grazia del «pianto pentito, triste per i nostri peccati», ma anche di quello di gioia perché Dio «ci ha perdonato e ha fatto nella nostra vita quello che ha fatto con il suo popolo».

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