«Imparate anche a comprendere e – oso dire – ad amare il Diritto canonico nella sua necessità intrinseca e nelle forme della sua applicazione pratica: una società senza diritto sarebbe una società priva di diritti. Il diritto è condizione dell’amore. Nulla est charitas sine iustitia». Le parole di Benedetto XVI ai seminaristi nella Lettera del 2010 tornano nel messaggio che Papa Francesco invia ai partecipanti al XVI Congresso Internazionale di Diritto canonico che, iniziato ieri, coinvolge tutte le Facoltà di Diritto Canonico delle Università Pontificie

Organizzato dalla Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo, l’incontro è stato inaugurato ieri alla Lateranense dal Segretario di Stato Pietro Parolin. Proprio il cardinale ha portato il messaggio del Pontefice nel quale si ricorda la genesi del primo Codex Iuris Canonici, quindi la sua promulgazione avvenuta il 27 maggio 1917 con la Costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia

Fu «una audace decisione per la vita della Chiesa», afferma il Papa, «interamente dominata dalla preoccupazione pastorale» di Pio X, un Papa che veniva dalla cura delle anime, «nella consapevolezza del servizio che un diritto canonico chiaro, ordinato sistematicamente, accessibile a tutti avrebbe potuto rendere all’ordinata cura del popolo cristiano». 

Già prima di salire al soglio di Pietro, Giuseppe Sarto, da sacerdote e poi da vescovo, aveva maturato «la convinzione che il clero dovesse essere aiutato, con strumenti idonei e semplici, a far fronte ai tempi nuovi e alle nuove esigenze che si ponevano nell’azione pastorale». Ecco dunque la decisione di «dare alle disposizioni canoniche, accumulatesi nei secoli, una sistemazione organica in un codice».

Un codice «moderno», «destinato a sorreggere la vita quotidiana dei pastori» ed «in perfetta corrispondenza con il Catechismo che da quel santo Pontefice prese il nome e che si rivelò uno strumento formidabile per la formazione cristiana».

Francesco ricorda come la scelta della codificazione segnò anche «il passaggio da un diritto canonico contaminato da elementi di temporalità a un diritto canonico più conforme alla missione spirituale della Chiesa». «Non si può negare - afferma il Papa argentino - che il Codice pio-benedettino abbia reso un grande servizio alla Chiesa, nonostante i limiti di ogni opera umana e le distorsioni che, nella teoria e nella pratica, le disposizioni codiciali possono aver conosciuto, ivi compresa qualche tentazione positivistica». 

Più concretamente «la codificazione attrezzò la Chiesa per affrontare la navigazione nelle acque agitate dell’età contemporanea, mantenendo unito e solidale il popolo di Dio e sostenendo il grande sforzo di evangelizzazione, che con l’ultima espansione missionaria ha reso la Chiesa davvero presente in ogni parte del mondo». 

Da non sottovalutare inoltre, secondo Papa Francesco, «il ruolo svolto dalla codificazione nella emancipazione dell’istituzione ecclesiastica dal potere secolare». Sotto questo profilo - sottolinea Bergoglio - il Codice ha avuto un duplice effetto: «incrementare e garantire l’autonomia che della Chiesa è propria, e al tempo stesso, indirettamente, contribuire all’affermarsi di una sana laicità negli ordinamenti statali».

Francesco guarda al passato ma si proietta anche nel futuro auspicando che la ricorrenza centenaria di quest’anno possa essere occasione propizia «per riacquisire e approfondire il senso autentico del diritto nella Chiesa», dove «il dominio è della Parola e dei Sacramenti, mentre la norma giuridica ha un ruolo necessario, sì, ma di servizio». Anche, speranza del Pontefice è che i cent'anni del Codex possano essere spunto di riflessione «su una genuina formazione giuridica nella Chiesa, che faccia comprendere, appunto, la pastoralità del diritto canonico, la sua strumentalità in ordine alla salus animarum, la sua necessità per ossequio alla virtù della giustizia, che anche in Ecclesia dev’essere affermata e garantita».

Il riferimento è alla Sacrae disciplinae leges, la Costituzione apostolica del 1983 in cui San Giovanni Paolo II indicava «l’esigenza che il diritto canonico sia sempre conforme all’ecclesiologia conciliare e si faccia strumento docile ed efficace di traduzione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II nella vita quotidiana del popolo di Dio». Un esempio pratico, scrive il Papa, sono i suoi due recenti Motu proprio che hanno riformato il processo per le cause di nullità del matrimonio.

«Come ogni Concilio, anche il Vaticano II è destinato ad esercitare in tutta la Chiesa un’influenza lunga nel tempo», afferma Papa Francesco. Dunque, il «diritto canonico può essere uno strumento privilegiato per favorirne la recezione nel corso del tempo e nel susseguirsi delle generazioni». Sono tanti i temi in cui il diritto canonico «può svolgere anche una funzione educativa, facilitando nel popolo cristiano la crescita di un sentire e di una cultura rispondenti agli insegnamenti conciliari»: la collegialità e la sinodalità nel governo della Chiesa, la valorizzazione della Chiesa particolare, le responsabilità di tutti i christifideles nella missione della Chiesa, l’ecumenismo, la misericordia e la prossimità come principio pastorale primario, la libertà religiosa personale, collettiva e istituzionale, una laicità aperta e positiva e una sana collaborazione fra comunità ecclesiale e civile nelle sue diverse espressioni.

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