Carlos Ghosn, numero uno di Renault, ha realizzato uno scintillante show ieri alla Défense, il quartiere d’affari della capitale francese. Per ribadire che il suo gruppo va bene (molto bene), per sciorinare una serie di promesse all’orizzonte del 2022 (cinque milioni di vetture vendute quell’anno contro i 3,47 milioni del 2016) e per illustrare la sua ricetta per il prossimo quinquennio (avanti tutta sul low cost e sull’auto elettrica). Ma il suo era anche un messaggio neppure troppo subliminale agli investitori, che negli ultimi tempi non hanno premiato l’azione Renault.

«Il mercato esita molto sul nostro titolo – ha ammesso Ghosn -, nonostante performance finanziarie da record». A fine giornata, alla Borsa di Parigi, il nostro non ha raccolto granché, malgrado tanta fatica: appena un rialzo dello 0,49%, a quota 86,02 euro. Che è il 15% in più rispetto a fine agosto, ma lontano dalle migliori performance del 2015 (quando aveva toccato 99 euro).

Ritorniamo, intanto, alle promesse. A parte l’aumento del 44% del numero di unità vendute entro il 2022 (considerando tutti i marchi del gruppo, oltre Renault : Dacia, Lada, Alpine e Renault-Samsung, ma non gli alleati Nissan e Mitsubishi), Ghosn promette di raggiungere fra cinque anni un fatturato di oltre 70 miliardi di euro (51,2 nel 2016). Nel frattempo, punta a un margine operativo che non scenda mai sotto il 5% e che alla fine si attesti sul 7% (6,4% nel 2016 : era l’1,8% nel 2012, tanto per dire che le cose sono migliorate davvero). « Il costruttore francese del 2005, che dipendeva da un modello e da un Paese, la Francia – ha detto Ghosn –, è ormai un’impresa mondiale, resistente e multipolare, e lo sarà ancora di più alla fine di questo piano strategico ».

Nel 2016 era ancora il 56,7% di tutte le auto vendute a essere commercializzato in Europa, ma da qui al 2022 l’obiettivo è raddoppiare il numero fuori dal Vecchio continente. In Cina si vuole passare dalle 35mila unità del 2016 a 550mila fra cinque anni. Quanto alle tipologie, il gruppo, leader sulle low cost (con il marchio Dacia in Europa e Renault al di fuori), vuole continuare a spingere in questa direzione, espandendo la gamma (previsto un fratello maggiore del 4x4 Duster e la versione elettrica della minuscola Kwid, venduta in India e Brasile). E poi, appunto, la vettura elettrica, dove Renault è già leader : in cinque anni intende passare da tre a otto modelli (ed entro il 2022 proporne anche 12 ibridi, un comparto dove finora l’azienda francese non era presente). Le auto elettriche, che hanno rappresentato appena l’1% delle vendite del 2016, dovrebbero attestarsi al 5% nel 2022.

Tante belle notizie da questo piano, battezzato « Drive the future ». Ma perché l’azione non sale ? Pesa il « dieselgate » (Renault è sotto inchiesta a Parigi con il sospetto di aver falsificato il sistema di emissione di numerose auto a gasolio). Poi Ghosn è a scadenza nel maggio 2008. E non ha un successore designato. Infine, lo Stato francese, che controlla il 19,7%, scalpita per vendere il 4,7% (Emmanuel Macron deve fare cassa per ridurre il deficit pubblico). Ma finché l’azione non sale (sembra che al ministero dell’Economia aspettino almeno di superare la soglia dei 90 euro), nessuno si muove. Quest’incertezza pesa a sua volta sull’andamento del titolo e frena l’entusiasmo degli altri investitori. Il cane che si mangia la coda.

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