«Non possiamo rimanere indifferenti di fronte ai problemi della vista». Indifferenti di fronte al fatto che sono più del 90% le persone affette da cecità o ipovisione che vivono in Paesi del Sud del mondo sotto la soglia di povertà «dove un bambino su due muore entro un anno da quando è diventato non vedente». Di fronte a stime secondo cui «le malattie oculari sono oggi responsabili di 39 milioni di non vedenti e 246 milioni di ipovedenti» e «4 casi di cecità su 5 sono prevenibili o curabili» ma mancano figure mediche preparate e cure adeguate.

È un vero e proprio allarme quello lanciato dal cardinale Peter Appiah Turkson, prefetto del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in occasione della XXX Giornata mondiale della Vista, che ricorre domani 12 ottobre. Dati alla mano, il porporato delinea il quadro di quella che ha tutti i tratti di un’emergenza nel mondo: circa 40 milioni di persone non vedenti e quasi 250 milioni di ipovedenti; numero, quest’ultimo, che «raddoppia se si prendono in considerazione coloro che sono ipovedenti per la sola mancanza di occhiali».

Non va dimenticato, poi, che «anche se si registrano importanti progressi nella cura delle malattie infettive che causano cecità ( come tracoma, oncocercosi, lebbra, e via dicendo) l’aumento dell’età media della popolazione mondiale sta generando nel contempo una aumentata incidenza di malattie oculari degenerative legate all’età (cataratta, glaucoma, maculopatia e così via)».

Tutto ciò è imputabile a vari fattori: «la mancanza di figure professionali preparate» e «la difficoltà ad accedere a cure adeguate», come pure «i cambiamenti climatici che interferendo negativamente sull’ecosistema del pianeta, danneggiano la salute», denuncia il porporato.

Che quindi afferma: «Non possiamo rimanere indifferenti di fronte ai problemi della vista». «Vedere bene è spesso la premessa per poter vivere. La vita di chi è cieco o ipovedente, soprattutto se sommata a condizioni di povertà, può condurre all’emarginazione e mettere a rischio la vita stessa».

Per questo la Chiesa, rammenta Turkson, «con amorevole attenzione si è sempre posta al servizio dei malati e dei non vedenti, creando strutture terapeutiche e più recentemente collaborando con iniziative promosse da Istituzioni pubbliche e private, nazionali ed internazionali».

Questi sforzi vanno però amplificati. Secondo il prefetto del Dicastero per lo sviluppo integrale: «È necessario proclamare il “diritto alla vista” come diritto universale, vincolandolo ad un preciso e concreto “dovere” etico: creare i presupposti perché questo avvenga. Il coinvolgimento dei governi dei Paesi poveri e la formazione del personale locale devono andare di pari passo con la creazione di strutture sanitarie decentrate e la condivisione di protocolli di assistenza basati sulla “best practice” internazionale», dice Turkson.

Tutti, conclude, siamo chiamati ad assumerci la «nuova responsabilità» di «lottare contro la cecità evitabile, contando sull’aiuto e sulla tenerezza del nostro Dio».

I commenti dei lettori