Al culmine dell’estasi di piazza, Beppe Grillo resta in hotel. «Sai com’è, abituato a migliaia e migliaia di persone...» quando dal M5S pronunciano queste parole è ormai chiaro che il comico, papà di questa creatura che si sente ferita da una legge elettorale velenosa per i sogni pentastellati, non verrà più. Di ora in ora l’attesa si fa estenuante e la gente in piazza, non numerosa come il giorno prima, diminuisce fino quasi a scomparire. I pochi, eroici sopravvissuti, lo attendono invano. Di Grillo rimarrà solo lo sketch dell’entrata all’hotel Forum con una gamba finta in braccio. L’assenza del ex capo politico racconta la delusione e lo spaesamento del M5S che ora è costretto a reinventare una strategia per capire cosa fare e cosa sperare. L’illusione del governo evapora in una lunga giornata di parole generosamente offerte dai parlamentari che si alternano sul palco. Si sgola, Alessandro Di Battista, che torna e ritorna per tenere alta la tensione emotiva fino a quando Luigi Di Maio dichiara in aula: «E’ una nuova legge truffa, la legislatura finisce come inizia, noi in piazza e voi qui dentro a tentare di salvarvi. Ma finirà come 5 anni fa, avrete un’altra bella sorpresa». Di fronte alla sconfitta, disperante, fissando il vuoto del futuro, le lancette non possono che riposizionarsi all’indietro. Di Maio lo dice chiaro e lo mimano anche i colleghi come se con le mani spezzassero nervosamente l’aria: «Qualcosa si è rotto dal punto di vista istituzionale. Non possiamo restare a guardare».

Ci sarà una reazione, promettono. «Dentro e fuori il Parlamento». Gli ultimi due anni passati a cancellare l’immagine dei ragazzini che conquistano il tetto di Montecitorio, non esistono più. Il M5S, isolato, tenta di riacciuffare la piazza. Continueranno le manifestazioni, «ma molto più in grande», «anche al Quirinale» annuncia Di Maio, per chiedere che Sergio Mattarella non firmi la legge. E non si escludono gesta plateali di forte carica simbolica a uso della prossima campagna elettorale, come le dimissioni di massa dei parlamentari.

«Faremo di tutto per vincere lo stesso» dice Di Battista, ma lo sguardo è sconfortato, il tono poco convinto. Si nota, nelle sue parole e in quelle dei colleghi, un certo accanimento contro la Lega: «Con che faccia favorite i partiti che avete fatto finta di contrastare per anni? - chiede Di Maio - La vostra credibilità è pari a zero». «Si sono venduti per un piatto di minestra» non fa che ripetere Di Battista. Il piatto di minestra sono i seggi del Nord dove i voti dei padani pesano di più: «Ma qualcosa gliela ruberemo in campagna elettorale» promette il grillino. Su questa contesa tramontano gli scenari di un’alleanza grillo-leghista programmatica che sarebbe servita a sopravvivere alla fiducia in aula qualora il M5S fosse arrivato primo. Ma quella era un’altra storia, un’altra legge elettorale.

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