È sempre complicato, in Italia, dedurre i cambiamenti della politica dai comportamenti parlamentari. Il Paese delle convergenze parallele è diventato quello degli incontri occasionali. Nella Prima Repubblica i radicali denunciavano spesso, come prova di consociativismo mai archiviato, il gran numero di votazioni che vedevano insieme Dc e Pci. Nella Seconda la stagione del bipolarismo non riuscì mai a impedire gli agganci tra centristi di qualsiasi natura e governi di ogni indirizzo.

Per non dire del «ribaltone» che disarcionò Berlusconi diventando oggetto di studio nelle università.

Nella terra di mezzo tra fine della Seconda Repubblica e mancata nascita della Terza, l’attenzione ovviamente è sull’avvicinamento tra Pd e Forza Italia: legittimo, alla luce del sole, all’inizio della legislatura e grazie all’incubatrice rappresentata dal patto del Nazareno, tra Berlusconi e Renzi. E continuato sotto traccia dopo la rottura tra i due sul Quirinale se è vero che al Senato, dove i governi Renzi e Gentiloni hanno avuto sempre maggioranze ballerine, il soccorso azzurro, magari in forma di assenze e uscite dall’aula, è stato decisivo nei momenti delicati.

Poi a un certo punto, dal fondo delle aule parlamentari, ha preso a soffiare più forte anche il vento dell’opposizione, rinvigorito dall’incontro di Lega e Movimento 5 stelle, che alleati con Fratelli d’Italia, soprattutto sull’immigrazione, hanno dato spesso battaglia, quasi prefigurando un nuovo polo populista e dandosi appuntamento dopo le elezioni per provare a mettere insieme una maggioranza e forse anche un governo. La rottura sul Rosatellum, lo schieramento del Carroccio con Pd, Ap e Forza Italia, gli insulti tra Grillo e Salvini, i malumori della Meloni verso la nuova legge elettorale hanno fatto a pezzi quell’embrione ancora tutto da coltivare. I sondaggi oggi dicono che per Lega e FdI la partita più interessante resta quella del centrodestra, con Berlusconi che promette che se non avrà la maggioranza è pronto a ritirarsi. Così anche quel terzo o poco più di votazioni in cui il partito dell’ex Cavaliere s’è trovato accanto al Pd non basta certo a rappresentare l’anticipo di quel che potrà avvenire nella prossima legislatura.

Perché la verità è che in quella che va a concludersi è successo tutto e il contrario di tutto. A ogni stormir di fronde le strategie, chiamiamole così, sono cambiate. E deve ancora arrivare il 5 novembre, con i risultati delle regionali siciliane, per farci assistere a un nuovo terremoto: stavolta, c’è chi è pronto a scommetterci, tra Pd e centrosinistra.